Non erano solo di piombo quegli anni
di Alberto Galanti---16-03-2018
40 anni fa, fu dalle decine di autoradio e televisori sintonizzati per il controllo finale prima dell’imballaggio, che a noi dipendenti dell’AUTOVOX giunse la notizia del sequestro di Aldo Moro e della strage della sua scorta.
Nella fabbrica in via Salaria 981, chiusa ormai da trent'anni (adesso c’è l’impianto di selezione e produzione CDR dell’AMA), gli oltre 1000 dipendenti del primo turno avevano da un’ora timbrato il cartellino di ingresso.
Lo sgomento fu generale. I compagni della sezione del PCI dell’Autovox “Giuseppe Di Vittorio”, di cui ero segretario, sparsi tra i vari reparti e uffici, non ebbero bisogno di essere chiamati e raggiunsero di corsa il locale del Consiglio di Fabbrica dove si concentrarono anche i socialisti e i delegati sindacali della FLM (Fim Fiom Uilm).
Dal sindacato nazionale venne subito un’indicazione: immediata sospensione del lavoro e assemblea generale, in attesa di ulteriori iniziative che si stavano valutando e che il CdF avrebbe poi portato in assemblea.
All’interno della mensa aziendale il sindacalista di turno iniziò a parlare ai circa 800, tre quarti erano operaie, che avevano sospeso il lavoro. Esordì dicendo di stare calmi e aspettare ulteriori indicazioni. Erano gli anni di piombo. Eravamo “abituati” al terrorismo eppure quella volta ognuno di noi sentì un colpo micidiale che ci tolse la lucidità. L’immediato sciopero generale nazionale proclamato da CGIL CISL UIL, come risposta adeguata all’attacco, era ineccepibile. Quando in assemblea lo annunciarono, accadde però una cosa insolita. Una parte delle lavoratrici che avevano i figli a scuola reagirono sbraitando contro il sindacato all’idea che lo sciopero immediato dei mezzi di trasporto avrebbe impedito loro di andare a prenderli mentre anche le scuole entravano in sciopero (non c'erano i cellulari e i telefoni a gettone erano 10). In realtà non ci fu il caos a causa dello sciopero ma il messaggio che ci mandarono quelle lavoratrici e che non ho più dimenticato fu chiaro: il sindacato (o un partito) non può essere giudicato in base a quanto è veloce a reagire. Sono la saldezza di nervi e la ponderata valutazione delle conseguenze delle scelte da fare, le virtù più importanti dei suoi leader.
Tutti sanno come finì quel sequestro 54 giorni dopo. Oggi i giornali e le televisioni stanno raccontando tutti i particolari di quell’atto a coloro che non vissero quei tragici momenti o erano troppo piccoli per ricordarsene. Una cosa però tantissimi cittadini italiani non sanno, perché nessuno l’ha mai raccontata attraverso la stampa. Il 9 maggio 1978, quando il cadavere di Moro fu trovato, il Partito Comunista Italiano “chiese” ai segretari delle sue sezioni di andare nelle sezioni della Democrazia Cristiana a fare le condoglianze e a condannare quel crimine senza sé e senza ma.
Io andai ubbidiente, onorato e tuttavia imbarazzatissimo, insieme a Pietro Raffo, segretario della sezione PCI di via Monterotondo (piazza Vescovio) dove la mia sezione si appoggiava, a fare le condoglianze ai segretari DC di Trieste e Salario. Non erano solo di piombo quegli anni.