VENERDI', SCIOPERO A SCUOLA
di Maria Teresa Iannitto---22-03-2018
Venerdi 23 marzo è stato proclamato uno sciopero del personale della scuola. Di venerdi, come è in uso ormai da qualche anno, un giorno della settimana che invoglia a fare il week end lungo, ma questa pratica non riguarda solo il comparto scuola. Magari ci si ritorna in altra discussione.
La piattaforma rivendicativa dello sciopero è centrata sulla questione dei diplomati magistrali ante 2001 ed è stato scelto questo giorno perché sarebbe la data in cui l’avvocatura dello stato si esprimerà sulla sorte dei diplomati assunti a tempo indeterminato, pur non avendone diritto, come da sentenza del Consiglio di stato di dicembre 2017. La storia di questa vicenda è lunga e si intreccia con l’assenza di una chiara politica di reclutamento e selezione del personale scolastico che si può dire risalga ai lontani anni 70, quando il boom demografico e la scuola di massa richiedevano un incremento massiccio di docenti in cattedra. Tutti i governi di ogni colore hanno sempre preferito assumere ope legis e senza selezione, piuttosto che definire un percorso chiaro e definitivo di accesso alla professione docente. Ma non è nemmeno questo l’argomento sui cui volevo centrare l’attenzione.
Vorrei invece sollecitare la riflessione sul ruolo svolto da un sedicente sindacato che ha come scopo della sua esistenza il fare ricorso su ogni questione della scuola e ovviamente in primo luogo sulle problematiche del personale. I sindacati storicamente sono nati allo scopo di difendere i diritti collettivi dei lavoratori, ma questo “giovane sindacato” come si autodefinisce, agisce esclusivamente promuovendo ricorsi in tribunale a difesa di diritti individuali. Anche quando i ricorrenti sono molto numerosi, come il caso dei diplomati magistrali, si tratta sempre e solo di somme di singole pretese individuali, tanto è vero che chi non ricorre non ha diritto a nulla, anche se chi ha promosso il giudizio vince la causa. Ma vincere una causa nel mondo della scuola significa scalzare i diritti di altre persone che seguono invece l’iter previsto dalla normativa e senza scorciatoie. Nel caso dei diplomati magistrali, molti dei quali non hanno nemmeno mai lavorato a scuola, riconoscere un loro presunto “diritto acquisito” significa togliere la possibilità di lavorare nella scuola ai moltissimi giovani che hanno una laurea e un’abilitazione. Nel caso, altro esempio, di quelli relativi alle richieste di aumento delle ore di sostegno per gli alunni disabili, siamo davvero alla negazione dell’idea di inclusione che la scuola italiana ha portato avanti a cominciare dagli anni ’70. L’alunno disabile è inserito a pieno diritto nella classe e l’insegnante di sostegno è appunto “di sostegno alla classe”, non al singolo alunno. E di fatto le ore assegnate alle classi sono il frutto di valutazioni complessive che il dirigente e i docenti della scuola fanno considerando i profili degli alunni con 104 e i gruppi classe in cui sono inseriti. Non è il comma della legge 104 che possa definire automaticamente il numero delle ore da assegnare, come viene richiesto in tribunale e che i giudici purtroppo riconoscono. Di fatto ci troviamo di fronte a situazioni in cui alunni con sentenza stanno in classi con un docente di sostegno a tempo pieno mentre altri disabili con la stessa diagnosi di gravità devono accontentarsi di qualche ora di avanzo perché il ricorso non l’hanno fatto. In tutte queste azioni legali manca completamente una qualsiasi idea di scuola: è solo una guerra di tutti contro tutti, non c’è solidarietà, non c’è comunanza di intenti. Ma c’è anche da osservare che la magistratura con sentenze contraddittorie, a seconda dei tempi e dei tribunali, rende molto difficile l’implementazione di qualsiasi decisione politica. Ancora un esempio: gli ultimi concorsi per l’immissione in ruolo escludevano la partecipazione dei docenti a tempo indeterminato per dare la possibilità a chi non lavora, ai giovani soprattutto, di inserirsi. Fatto e vinto il ricorso contro questa decisione, ai prossimi concorsi parteciperanno anche i docenti già assunti. Ancora una volta una decisione che sacrifica i più giovani.
Non credo si comprenda a sufficienza la gravità di questo fenomeno. Sui giornali e sui social campeggiano le storie strappalacrime di questo o quella docente, ma si perde completamente di vista il sistema nel suo complesso. Salvo poi denunciare con orrore la maestra cattiva che picchia gli alunni e chiedere le telecamere in classe. Ma non avevate preteso che fossero assunti senza alcuna verifica?