Non so come uscirne, ma credo di sapere come ci siamo entrati
di Alberto Galanti---24-05-2019
L'intervento di Sergio, dal titolo “Quando la coscienza sociale si eclissa …”, si apre con l’auspicio di un'azione politica capace di dare soluzioni pianificate, programmate e monitorate, ai problemi più urgenti di una società profondamente lacerata al suo interno. Insieme a questa azione di risanamento, si sottolinea la necessità di superare la guerra di posizione tra le varie frazioni sociali, ognuna ormai ridotta a perseguire ostinatamente solo un obiettivo: non cedere terreno alle altre. Muovendo da queste due premesse, Sergio pone a tutti noi alcune domande. In questo mio intervento vorrei focalizzarmi sulla prima: “Come favorire un costruttivo dialogo politico a fronte delle persistenti tensioni sociali?”

Sento la necessità di partire da “come eravamo”: nel dopoguerra i partiti venivano dalla terribile esperienza della dittatura e della guerra. Avevano davanti le macerie di un Paese da ricostruire fisicamente e moralmente e ciascuno lottava per affermare la sua idea di società da edificare. Erano molto autorevoli, ben strutturati, con forti legami con i propri elettori. La partecipazione al voto ben oltre il 90% (fino al 1979, per poi calare all’80,5% nel 2008). Pur avendo idee difficilmente conciliabili i grandi leader politici sentivano il dovere morale di stabilire insieme le regole della democrazia e della convivenza civile. Lo fecero e scrissero la Carta costituzionale.
Perché siamo arrivati oggi a questo livello di barbarie politica? So di rivolgermi a persone che non hanno bisogno di spiegazioni e faccio solo un elenco di elementi oggettivi che secondo me, nei vari decenni, hanno contribuito a determinare questa pericolosissima situazione di crisi della convivenza civile e della stessa democrazia, sotto l'incubo di un debito pubblico stratosferico che condiziona fortemente ogni tentativo di ripresa economica:

• La Costituzione si è rivelata, col passare degli anni, concausa di una crescente ingovernabilità del Paese per l’eccessiva ripartizione di poteri e contropoteri ai vari livelli decisionali;
• Il grande PCI, vera e propria anomalia italiana, per decenni ha impedito di fatto una salutare alternanza ai governi democristiani, dei quali è stato consocio, riducendosi ad essere il sindacalista del suo elettorato. Ciò ha determinato nei gangli vitali dello Stato e delle amministrazioni locali la calcificazione di sacche di parassitismo e clientelismo con un enorme potere contrattuale, al limite del ricatto. Per non parlare di scelte incontrastate ed economicamente folli che stiamo ancora pagando, come le baby pensioni del governo Rumor, i fiumi di denaro a gestione incontrollata per lo “sviluppo” del Mezzogiorno, un pubblico impiego inefficiente e gonfiato a dismisura. Al PCI va anche imputato l'assurdo rifiuto di costruire insieme al PSI una socialdemocrazia di tipo europeo con l'ambizione di proporsi come alternativa forza di governo. Conseguenza del continuo logoramento dei rapporti con il PSI è stata la leadership di Bettino Craxi a cui il PCI regalò una invidiabile rendita di posizione negli ultimi anni di quella Prima Repubblica finita indecorosamente tra gli scandali. Primo gravissimo colpo alla credibilità delle istituzioni.
• gli anni di piombo e l'allontanamento spontaneo dalla partecipazione politica di una generazione di giovani. Bisogna però dare atto al PCI che in quegli anni dimostrò a tutti di essere una grande forza responsabile con un inequivocabile senso dello Stato, capace di schierare 2 milioni di iscritti e 12 milioni di elettori a presidio (a volte “fisico” e io ne so qualcosa) della convivenza civile contro il terrorismo di ogni colore.
• La caduta del muro di Berlino, con la progressiva perdita di status dell'Italia come piattaforma strategica del blocco atlantico. Non saprei valutare le conseguenze sul piano economico ma sul piano politico fu l’inizio della fine dei vecchi partiti e della loro presa elettorale.
• un sistema educativo vittima di chiusure corporative, con enormi differenziazioni territoriali, non solo incapace di adeguarsi alle dinamiche di un mercato del lavoro in continua evoluzione, ma anche di formare cittadini consapevoli dei loro diritti e dei loro doveri. Siamo i primi nella UE col nostro 28% di analfabetismo funzionale.
• l'irriducibile frantumazione politica che ha finito per dar luogo, nella Seconda Repubblica, a coalizioni litigiose in governi poco efficienti mai riconfermati per un secondo mandato.
• la legge elettorale “Porcata” con liste di nominati, in troppi casi impresentabili e pronti a cambiare casacca, senza alcun rapporto col corpo elettorale.
• Il protagonismo debordante di alcuni settori della magistratura che ha fatto diventare il tutto una miscela esplosiva.

Lo sconquasso economico e sociale prodotto dalla globalizzazione e la gravissima crisi scoppiata nel 2008 si sono verificati proprio quando la fiducia nelle istituzioni, nei partiti, nella politica e nella democrazia toccava il punto più basso mai registrato prima. In questo clima il PD ha pagato caro il suo sostegno responsabile al governo Monti. Così come ha finito per logorarsi dal 2013 al 2018 guidando, con Letta, Renzi e Gentiloni, governi di larghe, ristrette, deboli intese, proprio quando la crisi rendeva necessaria una coalizione omogenea di governo, con un consenso elettorale forte che le desse autorevolezza, capace di dare risposte rapide ed efficaci, in un clima di leale confronto dialettico con le opposizioni.
Oggi, dopo un anno di governo gialloverde che ci sta rendendo politicamente isolati nel contesto internazionale, economicamente più deboli e ridicoli agli occhi del mondo, vediamo che la credibilità di tutte le forze politiche è così compromessa che da loro è impossibile aspettarsi che riescano a suscitare un ravvedimento operoso tra le rabbiose frazioni sociali in lotta tra loro.
Per me serve rovesciare i due termini della domanda prima di tentare una risposta. “Come favorire un costruttivo dialogo politico a fronte delle persistenti tensioni sociali?” deve diventare “Come favorire un costruttivo dialogo sociale a fronte delle persistenti tensioni politiche?”

Ci vuole un leader o una leader di notevole spessore e competenza, non strettamente riconducibile ad alcuna delle forze politiche, capace di indicare un traguardo e di restituire speranza e coesione a una società disgregata che sta andando a sbattere. Questa è, secondo me, la personalità che serve e che oggi non vedo.

P.S.
Carissimo Sergio,
la prossima volta che pubblichi un intervento che somiglia a una traccia per lo svolgimento di un saggio breve, abbi almeno la cura di scriverci sotto
Durata della prova 6 ore. E' consentito l’uso del vocabolario