Usi e abusi del termine “manager”: sinonimi e contrari.
di Mara Gasbarrone---11-06-2021
Ovviamente mi riferisco all’identificazione professionale di uno o più fra i candidati a sindaco. Siccome mi piace sempre seminare dubbi (equamente distribuiti, nessuno spirito partigiano), mi sono posta alcune domande.

Primo: essere, o essere stato, un manager costituisce un prerequisito per essere un buon sindaco?
Secondo: ma cosa significa esattamente “manager”, nella lingua italiana e nell’uso comune?

Andiamo per ordine. In una lista sommaria dei sindaci romani (consultare wikipedia), un posto d’onore viene in genere riservato a Ernesto Nathan, Giulio Carlo Argan, Luigi Petroselli, poi Rutelli e Veltroni. Aggiungiamoci anche il vicesindaco Tocci. Nessuno di questi potrebbe essere definito “manager” nella vita professionale precedente. Abbondano i politici, i giornalisti (ma questa è una sottofamiglia dei politici, molto spesso), qualche volta i professori universitari. L’unico che potrebbe avvicinarsi un po’ alla categoria “manager” è Franco Carraro, in quanto “dirigente sportivo”, ma wikipedia ne cita molti “aspetti controversi”, quindi dobbiamo accantonarlo.

E qui veniamo al secondo punto. Dirigente potrebbe essere sinonimo di manager? Non sempre, perché non c’è alcun dubbio che il termine venga applicato a chi esercita funzioni dirigenziali nelle strutture private, mentre non sempre i dirigenti pubblici sembrerebbero meritare l’appellativo di manager, anche per i limiti normativi che ne circoscrivono la funzione. Quelli che una volta chiamavamo “presidi”, oggi dirigenti scolastici, sono manager? O il dirigente di una ASL, da cui dipendono in media 500 mila assistiti? Ancora, Draghi era un manager? Forse no, perché - tranne brevi parentesi - ha lavorato quasi sempre in strutture pubbliche, e non so se alla Bce o al Ministero dell’Economia gli competesse la qualifica di manager.

Nell’uso comune, esiste quindi un bias (in italiano: distorsione cognitiva sistematica) a favore dei dirigenti delle strutture private, cui viene attribuita pregiudizialmente una capacità di perseguire obiettivi e ottenere risultati, valutando correttamente le prestazioni dei collaboratori, motivandoli con premi e riconoscimenti (altrettanto importanti, questi, dei precedenti) oppure sanzionandone i comportamenti inappropriati. Fosse vero, sempre e comunque… In realtà, esistono casi di strutture pubbliche che perseguono con successo obiettivi pubblici, e casi di strutture private in preda a logiche di puro interesse particolare.

Allora, bisognerebbe pesare con più “discernimento” il senso valoriale attribuito alla parola “manager”, ed astenersi dall’usarla come patente per attribuire aprioristicamente capacità che bisogna invece verificare nella realtà effettuale.

Conclusione: nell’interesse stesso di uno o più degli attuali candidati a sindaco, consiglierei molta parsimonia nell’uso dell’appellativo “manager”.