222 anni fa, il tragico epilogo della Rivoluzione napoletana
di Alberto Galanti---20-08-2021
Il 20 agosto 1799, 222 anni fa, furono giustiziati in Piazza Mercato a Napoli, il giovane Gennaro Serra di Cassano, il principe Giuliano Colonna, i banchieri Antonio e Domenico Piatti, l'avvocato Vincenzo Lupo, il vescovo Michele Natale, il sacerdote Nicola Pacifico, ed Eleonora Fonseca Pimentel.
Poetessa, patriota, politica e giornalista, 'Lenòr' era accusata di aver diretto il repubblicano 'Monitore napolitano' nei quattro mesi di vita di questa pubblicazione, chiusa pochi giorni prima dell'arrivo in città delle Bande di lazzari Sanfedisti raccolte e guidate dal Cardinale Ruffo per scagliare il popolino contro 'li ggiacubbini'.
La giustiziarono per ultima perché prima vedesse morire uno ad uno i compagni di quella tragica avventura che fu la Repubblica napoletana del 1799 (22 gennaio - 22 giugno).

Il gesuita Piersandro Vanzan, in un suo articolo pubblicato dalla rivista dei Gesuiti 'La Civiltà Cattolica' in occasione del bicentenario, scrisse a proposito della rivoluzione napoletana del 1799:

'senza essere filogiacobini o neoborbonici, una rivisitazione corretta di quell'evento non può ignorare quanto scriveva Vincenzo Cuoco sulle ingenuità dei giacobini napoletani che ben poco somigliavano a quelli francesi.
Ingenuità evidenti fin da quando concepirono una 'Repubblica mite' la quale, salvo rari episodi, non infierì sugli esponenti del passato regime che, invece, mite certo non era stato (né lo sarà qualche mese dopo). Si direbbe che quell'élite rivoluzionaria napoletana confidasse quasi unicamente sulla bontà astratta degli ideali, senza badare alla loro rispondenza nel cuore, e alla loro traduzione nei costumi, del popolino in genere e dei lazzari in specie. Quei nobili e borghesi illuminati pensavano che bastasse annunciare 'giustizia e libertà' perché tutto andasse di conseguenza, incontrando una concordia generale.... Anime belle, si direbbe oggi, per cui i giacobini napoletani appaiono più riformisti che rivoluzionari e non sono omologabili con quelli francesi. Il loro grande torto sta nell'aver ignorato quanto poco l'affrancamento che proponevano fosse invocato dalle masse, che preferivano vivere con le mance dei potenti e il genio dell'arrangiarsi, piuttosto che imboccare la via stretta della consapevolezza richiesta agli uomini liberi.'


Questi versi dell'epoca ne sono una triste conferma:

A signora 'onna Lionora
che cantava 'ncopp' 'o triato
mo abballa mmiez' 'o Mercato
Viva 'o papa santo
ch'ha mannato 'e cannuncine
pe' caccià li giacubine
Viva 'a forca 'e Mastu Donato!
Sant'Antonio sia priato


Per chi si sta chiedendo perché nell'ultimo verso si citi Sant'Antonio e non il santo napoletano per antonomasia, giova ricordare che nel 1799 San Gennaro venne accusato di essere giacobino per aver consentito al suo sangue di liquefarsi alla presenza dei francesi invasori. Sant'Antonio lo sostituì come patrono di Napoli fino al 1814.


Nel 1800 il già citato Vincenzo Cuoco, nel suo 'Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli', ricordando Eleonora Fonseca Pimentel scrisse:
'... essa si spinse nella rivoluzione, come Camilla nella guerra, per solo amor della patria. Giovinetta ancora, questa donna avea meritata l'approvazione di Metastasio per i suoi versi. Ma la poesia formava una piccola parte delle tante cognizioni che l'adornavano. Nell'epoca della repubblica scrisse il Monitore napolitano, da cui spira il piú puro ed il piú ardente amor di patria. Questo foglio le costò la vita, ed essa affrontò la morte con un'indifferenza eguale al suo coraggio.


Ricordiamo il generoso sacrificio della Pimentel e di tutti i rivoluzionari napoletani e riflettiamo sul tragico errore che Piersandro Vanzan ci ha voluto sottolineare nell'articolo citato.