Dolce Attesa. Saranno davvero i cash transfer la soluzione al problema?
di Marina Izzo---18-11-2021
Ringrazio Sofia per aver portato al centro dell’attenzione una tematica tanto delicata, e quanto mai di attualità, come quella del calo delle nascite, e della conseguente necessità di promuovere politiche a sostegno della maternità. Giustamente Sofia ha enfatizzato la necessità di prevedere degli incentivi, sotto forma di cash transfer (pagamenti diretti ai soggetti interessati), quali, appunto, il bonus bebè o l`assegno unico universale. Eppure, mi chiedo se, queste misure non solo siano davvero efficaci nel lungo periodo, ma addirittura se esse stesse non siano un modo per (paradossalmente) non affrontare il problema alla radice. L`origine (o meglio, una delle cause) di questo fenomeno angoscioso –il calo della natalità- risiede, a mio parere, nella (non) disciplina del mercato del lavoro, messa in atto, in questo paese, negli ultimi 25/30 anni. Per la generazione dei miei genitori, la maternità era un bisogno (nel senso sociologico del termine) a cui le politiche sociali, dovevano far fronte, in primis, tramite la predisposizione di appositi strumenti legislativi (vedi il famoso, e ormai, spesso, tanto agognato, congedo di maternità). Da quasi vent’anni, in questo paese, il mercato del lavoro è stato liberalizzato in modo selvaggio, tramite l’introduzione di tipologie contrattuali (nelle quali, guarda caso, sono inquadrati soprattutto i “giovani”), che non prevedono alcuna protezione per quanto attiene sia ai bisogni sia ai rischi, che caratterizzano l’esistenza di un individuo (sociologicamente parlando, la maternità è un bisogno, mentre la vecchiaia e la malattia rappresentano dei rischi). È questa mancanza di tutela, secondo me, la causa del calo vertiginoso delle nascite (e della, già abbondantemente ricordata, fuga dei cervelli all`estero). Tali contratti non prevedono: ferie, congedi di malattia, congedi parentali e, spesso e volentieri, prestazioni pensionistiche, atte a compensare la progressiva perdita della propria capacità lavorativa. Inoltre, essendo “a tempo determinato”, essi generano un senso di profonda insicurezza, nonché di accesa competitività, nei confronti del (mantenimento del) proprio posto di lavoro. Ora, come può un individuo, che si trova a vivere in queste condizioni, anche solo permettersi di immaginare un avvenire, che non sia quello strettamente immediato? E, soprattutto, ammesso che vi possa essere un orizzonte di futuro più ampio, come potrà questo stesso individuo osare pensare di essere in grado di mantenere un altro essere umano, del tutto dipendente da lei/lui? Ecco questo io penso sia uno dei nodi centrali della questione. E il mio timore è che i cash transfer, lungi dall`essere una soluzione, siano solo il tappeto sotto il quale nascondere una vergogna che non vogliamo affrontare.