La deflagrazione del confine geopolitico
di Rosy Ciardullo---02-04-2022
Si fa sempre fatica a cambiare riferimenti e orizzonti a fronte di radicate abitudini.
Da più di un mese, dal 24 marzo, il mondo è spaccato in due come una mela. Da una parte i fautori della democrazia e dall’altra i paesi governati dalle autocrazie. L’Occidente si è svegliato da un lungo sonno ed ha dovuto cambiare in fretta pensieri, obiettivi e strategie, appartenenza e schieramenti. Una presa di coscienza avvenuta di colpo in una situazione in cui gli altri avevano già scelto da tempo da che parte stare.
Si dice che le democrature siano stati diversamente democratici e che hanno un’idea della democrazia diversa dalla nostra. Mi viene da pensare invece che nella famiglia umana che abita il pianeta molti, troppi, siano rimasti indietro e sanno che non potranno mai colmare quel divario culturale fatto di principi, valori e stili di vita irrinunciabili che ci dividono.
I paesi che sentono il peso dell’esclusione, che considerano decadenti le nostre comunità democratiche, coltivano oltre alla disapprovazione per i costumi e per le libertà di genere, quella sottile invidia che si tramuta in opportunità da sfruttare per vacanze da sogno, università prestigiose per i figli, utili attracchi per i panfili milionari nei porti nel Mediterraneo. O sulle coste della California.

La guerra come non “sense”
Un forte senso di impotenza e di sgomento si impossessa della mente quando sequenze di immagini si soffermano su bombardamenti, corpi inerti dimenticati per le strade, check point ad ogni angolo e carri armati. Notizie di soldati russi contaminati dalle polveri di Chernobyl e di deportazioni della popolazione ucraina in luoghi lontani della Russia. Liste di coscrizione per la leva. Mercenari ceceni sempre ingaggiati per soffocare le democrazie nascenti. Anche in Africa. Racconti di numerosi stupri. E poi in nome della modernità, manovre di cyber war e le battaglie di Anonymous per tentare di disturbare il più possibile il manovratore.
I pensieri di morte e distruzione tolgono energie alle necessità vitali. Il male assoluto delle guerre che, secondo la nostra storica accezione , si continuano a combattere solo in luoghi lontani, sono diventati di colpo la riflessione quotidiana che si traduce in una sensazione di impotenza di fronte a tanto scempio della fragile condizione umana.
I sentimenti umani sembrano banditi e certo non convergono su ciò che in realtà muovono la Realpolitick (così si chiamava un tempo) della guerra, l’azione militare e strategica di Cina, Russia India e Turchia per nuovi obiettivi alla base dei futuri assetti mondiali.
Sono questi i nuovi grandi attori che per estensione territoriale, popolazione e comunanza di radici culturale, reclamano un posto alla pari sul podio dei numeri primi.
Sono riusciti a tramutare la loro debolezza in forza, stanno sedimentando sostegno e opportunità da giocare contro un mondo irraggiungibile per gli standard di vita,
i costumi e la ricchezza. Che si può aggredire e possedere ma non conquistare stabilmente.
La guerra in Ucraina è una sentinella di ciò che bolle in pentola sul pianeta, il tentativo di riposizionamenti mondiali pronti a confrontarsi.
Gas, petrolio, gasolio, cobalto, nickel, grano, mais, soia e fertilizzanti, sono l’arsenale di risposta alle sanzioni.
Le dizioni di “ tiranno” e “ macellaio” rivolte ad Erdogan e a Putin sono volute non casuali. Punzecchiano il narcisismo di entrambi ma non modificano i loro piani.
Quando Zelensky dice spesso che Putin vuole attaccare tutta l’Europa, dovremmo tenere in debita considerazione questa affermazione. Gli ucraini avevano compreso molto prima di noi il disegno globale che c’era dietro questa guerra e che ci ha colto di sorpresa.