Quello che i libri di storia non raccontano
di Giuliana Mori---16-05-2022
A far seguito all’articolo di Carlo Mari dell’11/05/2022 dal titolo “Memoria storica e attualità” quello di oggi racconta dell’incontro tra gli studenti del liceo Tacito e lo storico e scrittore, prof. Amedeo Osti Guerrazzi, docente ricercatore dell’Università di Padova e collaboratore dell’Istituto Storico Germanico di Roma e della Fondazione del Museo della Shoah di Roma, sempre nell’ambito del progetto PCTO, per le competenze trasversali e l’orientamento, dal titolo “Quello che i libri di storia non raccontano” sul tema della memoria storica.
L’intervento del prof. Osti Guerrazzi ha messo subito in evidenza la difficoltà di essere storici e di rispondere alle domande cosa significhi essere storici e che ruolo ha lo storico all’interno della società, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni e in particolare degli studenti, a cui manca la narrazione diretta dei tragici eventi accaduti durante la seconda guerra mondiale. Tutto ciò accade quando il proprio lavoro non viene pubblicato e di conseguenza divulgato perché si dice che il target dei lettori è statisticamente poco rilevante. Si pubblica e si divulga quando gli interessi in gioco sono alti e vanno oltre le finalità della semplice conoscenza, quando investono il piano della formazione e della propaganda, che nasconde fini politici.
Il prof. Osti Guerrazzi cita l’esempio del piano Marshall, quello relativo agli aiuti americani all’Italia al termine della seconda guerra mondiale, che serviva alla ricostruzione di un paese distrutto economicamente e lacerato da una profonda guerra civile. Per giustificare quegli aiuti non si poteva dire che il popolo italiano aveva contribuito fortemente allo scatenarsi del conflitto per poi finire dalla parte dei vinti. Era necessario far passare il messaggio che il popolo italiano era fatto di brava gente, laboriosa, accogliente, non violenta, contro la guerra, in grado di meritare quegli aiuti, quando invece i documenti ufficiali rivelano che fu proprio l’aviazione italiana ad effettuare come primo esperimento militare il bombardamento di Barcellona nel 1937.
Altro esempio citato dal professore: un lavoro personale di trascrizione delle intercettazioni di soldati italiani prigionieri dei tedeschi che rivelano, in prigione e convinti di non essere ascoltati, quanto i loro commenti fossero caratterizzati da cinismo e indifferenza nei confronti delle persone che loro avevano giustiziato, senza alcun elemento di conoscenza delle cause che li avevano portati a combattere e ad uccidere altri soldati e civili inermi. Questo aspetto mette in risalto l’importanza dell’utilizzo delle fonti e della loro autenticità nel racconto della verità.
Alla domanda degli studenti sul perché non si sia fatto nulla durante quel periodo di crimini, la risposta è stata la scarsa conoscenza dei fatti, specialmente al sud d’Italia, dove poco si sapeva dell’esistenza degli ebrei e delle leggi razziali, e la mancanza di strumenti di divulgazione.
Questo comporta che solo in presenza di contezza degli avvenimenti si può conoscere la verità storica e si può prendere posizione.
La memoria si tramanda o attraverso i libri o attraverso la narrazione diretta tra padri e figli, ma quando si interrompe per estinzione il racconto tra generazioni allora il professore propone l’arte come mezzo per contribuire a raccontare le emozioni e il vissuto di quegli avvenimenti tragici.
Il bambino che viene scacciato dalla madre, appena catturata dai tedeschi, come fa a capire che quella è la sua salvezza? E come facciamo noi a capire quella sofferenza? Forse l’arte può vincere questa sfida.

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