Complessità. Storia. Umanità
di Carlo Mari---14-10-2023
Non credo di essere, come tutti i cittadini comuni, in grado di valutare con adeguato rigore tutto quanto avviene in questo nostro mondo e in questa nostra epoca così frenetica e in piena trasformazione. A maggior ragione sento il dovere della prudenza se si parla di guerre in corso, con le loro tragicità e atrocità. Guerre che, del resto, come tutti gli eventi dei popoli - e degli individui – affondano radici in un passato, remoto o più recente, articolato e vario, nel profondo come nelle sfumature. Né posso né voglio subire passivamente, sul piano intellettuale ed emotivo, le pressioni di una comunicazione che tanto più in questi casi, si rende carica di distorsioni o forzature, a volte involontarie, a volte – più spesso – volute.
E tuttavia, da cittadino comune, e in quanto tale dotato comunque di una propria formazione culturale, di una propria sensibilità intellettuale ed etica, insomma – spero - di una propria autonomia, mi rifiuto di restare asetticamente neutrale od opportunisticamente afasico di fronte agli eventi, piccoli ma soprattutto grandi, dei nostri anni e del nostro mondo globalizzato. E mi rifiuto - come invece vedo fare a molti commentatori sui media ed anche a singoli cittadini - di nascondermi dietro il concetto della “complessità” e dietro il richiamo alla lezione della “Storia” per evitare di prendere posizione. Il che poi troppo spesso – diciamocelo – sconfina in una lettura dei fatti benevola nei confronti di chi aggredisce rispetto a chi è aggredito; nei confronti di chi punta sulla violenza e sulla illiberalità rispetto a chi crede nel dialogo e nello scambio; nei confronti di chi umilia rispetto a chi viene umiliato; nei confronti di chi manipola rispetto a chi è manipolato. In altri termini, nei confronti di chi si muove in una logica di illiberalità, autoritarismo e repressione rispetto a chi si muove in una logica democratica. E questo, lo dico senza mezzi termini, non mi piace… per niente.
Lo so, la democrazia, né oggi né mai, può assurgere alla definizione di perfezione, e si materializza, nei vari contesti ed epoche, con difetti e problemi vari. Ma come è stato detto, e dimostrato dalla storia, è - e resta pur sempre, senza se e senza ma – il migliore degli assetti istituzionali possibili: senza paragoni.
Per questo prendo posizione; per continuare a credere – e a vivere – in un assetto sociale, politico ed umano, democratico. Nel quale certamente va fatto tutto per capire: fatti, eventi, persone. Con tutta la ricerca dovuta e seria della complessità delle cose, dei popoli e degli individui; con tutto il rispetto e lo studio della Storia: scientifico però, non strumentale e curvato a dimostrare tesi precostituite e funzionali a posizioni di parte, anche violente. E senza fare della complessità e della Storia (anzi della “complessità della storia”) un rituale dialettico, una rimozione delle evidenze, il paravento “mitico” dietro cui nascondere una propria fuga dal prendere posizione ed esserci; oppure – peggio - dietro cui nascondere una strisciante e irrefrenabile – a volte subliminale – pulsione a difendere la violenza, l’aggressione, la disumanità.
La vicenda israelo-palestinese, come pure quella russo-ucraina, presenta tutti i connotati della complessità. E bene si fa ad indagarne aspetti e sviluppi storici, che – si badi bene - tante sorprese possono riservare anche a chi lo fa puntando ad una indagine a tesi precostituita: e possibilmente ad effetto pirotecnico, adatto agli insopportabili, distorsivi e manipolativi talk show di tantissimi media italiani, soprattutto televisivi. Ma attenzione: NESSUNO HA LA ESCLUSIVA DELLA COMPLESSITA’.
Dunque diamoci i tempi adeguatamente lunghi della analisi e riflessione storica, per dipanare la matassa della complessità.

Ma diamoci anche i tempi adeguatamente pronti ed immediati del presente, dell’oggi, della cronaca, che non è una parolaccia, non è un sottoprodotto della storia; bensì è la storia nel presente, sono i tasselli del vissuto su cui poggerà poi la Storia prospettica, dialettica e riflessiva.
Ma il presente ha le sue urgenze, le sue evidenze, la sua dignità, la sua scientificità. Sì, scientificità, perché ha le sue leggi, anzi ha la sua legge, che postula chiarezza, trasparenza ed onestà intellettuale, e che affondi ben in profondità le proprie radici nella umanità: vogliamo dire, nell’ umanesimo? Sempre aggiornato e sempre valido. Per questo un’aggressione è un’aggressione; una violenza disumana, cioè tesa ad umiliare e mortificare l’altro, è una violenza disumana; un obiettivo di eliminazione dell’altro è un obiettivo di eliminazione dell’altro, non di dialogo, mediazione e intesa. E lo scontro tra autoritarismi, dittature, regimi illiberali, da una parte, e paesi, stati e popoli democratici, dall’altra, è uno scontro reale dei nostri anni, epocale, in cui per chi vive in democrazia autoflagellarsi e autocolpevolizzarsi sistematicamente senza mai cogliere i torti e l’aggressività altrui non è segnale di apertura mentale e culturale, di civiltà e di tolleranza voltairiana: è solo masochismo ottuso, miope, complessato, quando non opportunistico e strumentale.
E’ illusione che le democrazie debbano e possano essere perfette; e siccome non lo sono – ma la perfezione mi spaventa, eccome: puzza di integralismo – allora….. “buttiamo via pure il bambino con l’acqua sporca”. Penso non vada bene, per nessuno.