il 1º Municipio condizionato dalla marginalità di Roma
di Piero Fortini---03-12-2023
Non si può parlare di Primo Municipio senza parlare della città di Roma, e non solo. È il centro storico (romano, medievale, rinascimentale, barocco , settecentesco), il maggiore attrattore turistico della città; è la Roma moderna e borghese che nasce con l'unità d'Italia; la Roma che diventa il centro amministrativo e burocratico del Paese; la Roma popolare degli esperimenti industriali dei primi decenni del '900; del quartiere multietnico contesto delle immigrazioni degli scorsi decenni; dei progetti dell'edilizia popolare di pregio; delle infrastrutture di mobilità moderne che la collegano con gran parte dell'Italia e gran parte dell'Europa, con due Aeroporti, con il litorale, con parti rilevanti delle 'periferie'; con parti rilevanti dell'area metropolitana e della provincia. È il Municipio delle più rilevanti strutture museali, espositive, teatrali, di fruizione cinematografica, di distribuzione libraria. E della più antica e prestigiosa Sede Universitaria della città. In conclusione è il Municipio che più di ogni altro deve pensare sé stesso in correlazione con le sorti future dell'intera città e da dove devono essere lanciati più urgenti e più netti gli allarmi per la condizione mediocre in cui versa, e da dove far scaturire suggestioni e proposte su svolte e cambiamenti. Cambiamenti radicali, in una capitale sopravanzata da altre città italiane, ridotta ad un ruolo secondario in Europa, marginale nel mondo. Una città dove il dibattito nell'ultimo quindicennio ha avuto come fulcro la gestione dei rifiuti e la condizione delle strade, cioè due problemi di ordinaria buona amministrazione risolti del tutto pacificamente in altre città italiane ed europee.
Tutto ciò mentre altre città e sistemi urbani europei e di tutti i Continenti facevano passi da gigante nel divenire vettori produttivi, tecnologici, scientifici, formativi, artistici innovativi e attrattivi per aziende, piattaforme, talenti. Roma soprattutto restava prigioniera passiva e parassitaria del proprio glorioso ma remoto passato; della propria vocazione burocratica; di una dimensione produttiva via via ridotta e poco aperta alle esperienze imprenditoriali innovative; con un turismo sempre meno esigente, colto, agiato e sempre più sbrigativo e dedito ad una fruizione standardizzata dei capisaldi monumentali diventati una stucchevole routine. Mentre il contesto urbano si adegua ad un centro storico monocraticamente ridotto a quinta 'museale', divenendo sempre più una monografia ristorativa. È dal Primo Municipio, dal cuore della storia della città che deve partire un'analisi che si emancipi da un rapporto parassitario col passato e si proponga una storia al futuro.
Il nodo di fondo è come uscire da una pura rendita del passato e divenire gradualmente ma inesorabilmente un laboratorio della contemporaneità. Come attraverso i linguaggi e le culture della contemporaneità proporre cose nuove e riproporre in forme nuove la storia e le vestigia del passato. Come essere ospitale per le nuove produzioni artistiche, musicali, teatrali, cinematografiche e non riproporre in modo predominante standard consolidati; esperienze espositive immersive e multidimediali e non solo spettatori di fronte a opere a parete; non mostre in base a materiali reperibili o criteri di cassetta a cui poi forzosamente e artatamente si trova un tema appiccicaticcio; andare alla scoperta e valorizzazione di talenti che oggi stanno scrivendo il futuro, affrontando temi della condizione contemporanea andando oltre la settorializzazione dei singoli separati linguaggi espressivi; divenire centro attrattore per i migliori talenti artistici e, soprattutto, per i migliori giovani talenti artistici. Così per il design, per la moda. Così per la musica, il cinema, l'audiovisivo. Perché 'la città più bella del mondo', quella col 30% dei Beni dell'umanità, non può che diventare la sede di una grande e innovativa industria culturale. E la sede dove architetti, designer e artisti riflettano e operino per dare forme nuove alla città, una città che deperisce e muore se pensa che il centro storico debba solo essere conservato e che questo sia tutto, mentre le 'periferie' crescano pure come vogliono, allo stato brado. Una città che stabilisce de facto che il punto più alto del suo skyline debba restare la cupola di S. Pietro è una città che deperisce e lentamente muore. Il drammatico esito del concorso per Expo 2030 rappresenta la più incontrovertibile testimonianza della marginalità odierna di Roma.
E allora certo, interventi di architettura contemporanea anche in parti del centro storico. Quello che oggi consideriamo tale non è altro che una stratificazione di continui interventi di trasformazione nel corso di decenni e di secoli, i centri storici non sono mai stati qualcosa di immutabile ma sempre qualcosa di mutevole. E da questo contesto dovrebbe partire e consolidarsi una rosa di progetti di trasformazione e rigenerazione urbana delle 'periferie', non a caso finora menzionate sempre tra virgolette. Uscendo da un'accezione piagnona degli agglomerati urbani contemporanei concepiti solo come sentine di degrado e vederli, piuttosto, come grandi occasioni di sperimentazione urbana. Programmi pluriennali di arredo urbano, con design peculiari in ciascun quartiere (anche a tema), che costituiscano un filo rosso di lettura e percezione unitaria, pregiata e innovativa di quel dato quartiere, corredati da progetti imperniati su interventi di landart, di streetart, di istallazioni permanenti corrispondenti sia a criteri estetici che di funzionalità e di sosta, possono trasformare agglomerati opachi e muti in luoghi che ci parlano di bellezza e ci migliorano la vita. Progetti che possono essere esito di concorsi nazionali e internazionali riservati a giovani talenti under 35. Si possono in tal modo agevolare le condizioni per interventi progettuali di importanti architetti italiani e internazionali. Non 'periferie' ma parti pregiate di una città molteplice, parti che fanno della loro contemporaneità e della conseguente loro maggiore porosità e permeabilità ( addio parere delle Soprintendenze) una grande opportunità per insediamenti di aziende innovative, più ricche di idee e più leggere di investimenti iniziali, quindi più aperte ai giovani imprenditori, e su per i rami, ad aziende importanti italiane e non solo, in controsenso rispetto al fuggi fuggi dei decenni recenti. Contenuti e servizi per l'audiovisivo, farmaceutica, componentistica elettronica e meccanica, ricerca scientifica, tecnologie ecologiche e per l'efficientamento energetico, sono solo alcuni dei possibili filoni di nuovo insediamento.
Non è innaturale che dal Primo Municipio partano idee che coinvolgano anche il complesso della città e che nel Primo Municipio si insedino sedi progettuali, direttive e di servizi. Come dal Primo Municipio può svilupparsi una trama di idee per una città smart: nella PA, nella mobilità, nella gestione dei rifiuti, nella sanità, nelle tecnologie multifunzionali e multisensoriali che dai led dell'illuminazione pubblica passino al controllo delle emissioni nell'aria, ai flussi di traffico, alla ottimizzazione della fruizione dei parcheggi.
In conclusione. Si tratta di fare una grande scommessa e chiamare a cimentarsi su di essa tutta la classe dirigente romana, non solo quella politica, ma quella imprenditoriale, scientifica, accademica e i cosiddetti corpi intermedi. E i partiti politici, con una visione cittadina e non di fazione. O con una profonda svolta Roma cambia in profondità o il futuro sarà un declino forse in parte 'dorato', ma inesorabile.