264. Giulia Cecchettin già non è più l'ultima ...
di Carlo Corridoni---09-12-2023
E' terribile! Le violenze sulle donne e le loro uccisioni da parte dei compagni, prima, durante e dopo la conclusione dei loro rapporti affettivi, continuano coi connotati di una tragedia spaventosa che colpisce ovunque il nostro Paese, in tutte le classi sociali e in tutte le età.
Il caso della povera Giulia, che ha commosso tutta l'Italia, per le modalità, le circostanze e la giovanissima età delle persone coinvolte, ha raggiunto in modo particolare le ragazze e i ragazzi, che sembrerebbero i più fragili nelle sofferenze del disamore, se non altro per l'inesperienza nelle sensazioni e nei sentimenti relativi. Ma chi potrebbe essere certo che tale fragilità non sia presente pure in altre fasce d'età?
Anche le reazioni dell'opinione pubblica, emerse sui media, si sono attestate su cospicui livelli di approfondimento, e sull'attesa di misure efficaci nella prevenzione. Perfino le espressioni di odio e risentimento verso il presunto colpevole sono sembrate, fino ad un certo punto, contenute.
La persona di Giulia, le sue incertezze e il senso di responsabilità nei confronti di una persona che riteneva bisognosa d'aiuto, ci avevano convinti che potevamo agire in un campo finalmente sgombro da illazioni più o meno moralistiche o pruriginose, del tipo: ''se non fai attenzione, prima o poi, vedrai che il lupo lo trovi!''
Mi sbagliavo. Ci sbagliavamo tutti: nessuna riflessione, per quanto approfondita, è sembrata efficace nel frenare il bagno di sangue, che invece continua inarrestabile nei più diversi contesti sociali.
Nel Gransimpatico del ventidue novembre mi esprimevo, a caldo, sul sentimento d'invidia nei confronti della persona amata (!), che animerebbe in una certa misura l'amante abbandonato.
Ancora sostengo, in parte, quella mia prima impressione, alla quale debbo aggiungere, però, la necessità di approfondire il tradimento dell'Amor proprio, che precipiterebbe l'abbandonato nella disperazione, fino a fargli concepire il desiderio di vendetta.
Non mi pare opportuno, a questo punto, addentrarmi in considerazioni sociologiche, che pure arricchirebbero di aspetti culturali lo studio del fenomeno, quale, solo per esempio, sarebbe l'organizzazione patriarcale della famiglia.
Limito le mie ipotesi a questi aspetti di tipo personale (invidia, amor proprio), perché sono soggettivi e consentono analisi dei diversi delitti adattandole caso per caso, mentre le considerazioni culturali - pur efficaci, ma in altri contesti - inquadrerebbero i diversi casi in uno scenario largamente comune, quindi incongruo.
Le facili generalizzazioni sarebbero arbitrarie e falserebbero qualunque conclusione.
L'aspetto che ritengo più promettente in questo mio ragionamento, consiste nel diverso modo di concepire l'Amor proprio nelle questioni affettive.
In sostanza: perché sentirsi offesi se la persona amata ci abbandona? Si tratta di risolvere e specificare il grappolo di emozioni che si provano in tale dolorosa condizione di spirito e di padroneggiarle nella ricerca di nuovi equilibri sentimentali.
Porre in questa prospettiva la nostra attenzione mi pare utile, oltre che come esercizio personale di autocoscienza, soprattutto nel ruolo che potremmo avere come educatori, nei confronti dei giovani, degli amici, delle persone che ci danno fiducia.
Allo stato, ritengo illusorio intervenire sul piano disciplinare dell'Istruzione scolastica, mentre a Scuola andrebbero perseguiti comportamenti di consapevole relazionalità fra tutti coloro che partecipano al rapporto educativo e affettivo.
A lunedì.
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