Fra rispetto, prudenza ed emozioni
di Carlo Mari---12-12-2023
Le riflessioni del nostro socio ed amico Carlo Corridoni sul videoincontro di lunedì pomeriggio sollecitano a loro volta ulteriori riflessioni. Un dibattito oggi, dicembre 2023, sulla condizione femminile, sulle forme più gravi e drammatiche in cui si manifesta la “pressione” sociale e morale sulla donna (si pensi alle difficoltà tuttora evidenti a conciliare lavoro e maternità) o in cui si manifesta la violenza – fisica – sulla donna, credo abbia due opzioni prevalenti, dal punto di vista del taglio dialettico da scegliere e soprattutto del clima in cui svilupparlo. Una opzione è quella della dimensione emozionale - e, mi si permetta, anche arrabbiata (sacrosantamente) – con cui manifestare il proprio sentirsi dentro al problema e la propria ansia – etica, umana e intellettuale – di andare verso soluzioni o, almeno, un progresso. Altra opzione è quella di cercar di mantenere nervi saldi e lucidità di riflessione e di indagine, col medesimo obiettivo: soluzioni al problema, o almeno progressi. Dico subito e con sincerità che, a mio avviso, l’opzione migliore sarebbe un mix delle due dimensioni: quella solidamente raziocinante e analitica, supportata da quella emozionale che dà non solo calore all’analisi stessa, ma la rinforza facendola poggiare su una giusta base di “fuoco”. Devo dire che, se non ho capito male quanto scritto da Corridoni, anche io ho colto uno sforzo ed un impegno del nostro folto gruppo di partecipanti e della stessa relatrice di mantenersi per lo più su un terreno di equilibrato controllo delle emozioni e di ricerca razional/analitica di strade da percorrere. In tal senso mi sentirei di condividere con il mio omonimo Carlo la percezione – anche sorprendente – di un clima appunto controllato, di grande senso della misura e di non cedimento alla emozionalità di queste settimane. Ma il tentativo, al di là della sorpresa per il clima molto controllato, mi è sembrato serio, mosso da un desiderio di trovare possibilità costruttive, reali, praticabili di incidere sul problema, al di là della emozionalità dei momenti, che così come si forma impetuosa, altrettanto impetuosamente sovente si spegne, sostituita da altro evento gestito in chiave fortemente mediatica.
La condizione femminile è problema strutturale, e come tale necessita di strategia, di visione - di breve, medio e lungo periodo - e di determinazione. Per cui credo che il dibattito di lunedì pomeriggio sia stato serio, impegnato, segnato da una convinta volontà di ricerca di strade. La contenuta passione emotiva negli interventi e nella relazione credo proprio sia nata dal rispetto – intellettuale ed umano - per il problema, non certo da una ridotta compartecipazione alla sua complessità e gravità.
Per cui così come condivido molte riflessioni di Carlo, devo dissentire totalmente dall’avverbio “concessivamente” da lui attribuito all’approccio al dibattito. “Concessivamente” fa pensare a un certo distacco (concessivo : provvedimento con il quale viene accolta e soddisfatta un'istanza), a qualcosa di supponente, che cala dall’alto anaffettivamente. Anche il “sinceramente addolorati” nella stessa affermazione devo dire non mi convince, perché anch’esso trasmette l’immagine di un dibattito un po’ paternalistico e “concessivo”. Insomma concordo con Carlo che il clima dell’incontro sia stato raziocinante e compassato, ma ne prospetto una lettura tutta al positivo: di profondo rispetto per il dolore, e di prudenza nel muoversi su un piano appassionato, che può non aiutare a venirne fuori, soprattutto sui tempi più lunghi.
Per tutto il resto concordo pienamente con Carlo. La tragica vicenda di Giulia ha colpito tutti, non perché le altre donne vittime di violenze non siano meritevoli del medesimo amore di noi tutti, ma perché quanto è successo a Giulia è avvenuto di fatto in cronaca diretta. Lo abbiamo seguito passo passo, dalla sua sparizione alle ricerche, alle richieste dei familiari di farla tornare sana e salva, al ritrovamento. Una emozione dolorosa collettiva come poche volte. E concordo che il problema della condizione femminile, da tutti i punti di vista, e quello delle violenze sulle donne devono interrogarci sempre tutti: sempre. Non sono accettabili deleghe, né umane né intellettuali. Ma devo dire che da questo punto di vista il dibattito mi è sembrato invece molto efficace ed utile, perché ha insistito proprio su questo, quando ha sottolineato ripetutamente che occorre essere molto vigili sul cosiddetto “sessismo benevolo”. Che proprio questo è: non rendersi conto del sessismo strisciante e subliminale che passa quotidianamente nel nostro vissuto, a cominciare dal linguaggio, fino alla idea di Amore, il momento più alto del nostro saper essere, ma che spesso è invece rivestito di equivoci e fraintendimenti: e devianze, legate tanto al sociale quanto alla dimensione psicologica.
Per questo trovo anche molto significativa la conclusione dell’incontro con due battute che definirei “gradevolmente dure” contro il sessismo benevolo. Il richiamo ironico al detto “auguri e figli maschi “ evocato in un intervento, e il “mia madre dice sempre: poverino tuo fratello; tu tanto te la cavi”, scenetta di vita familiare evocata dalla relatrice. Modi di dire e di essere che scattano in automatico: e questo appunto non giustifica, proprio perché rivelano invece la metabolizzazione avvenuta di un “sessismo benevolo”. Insomma il problema è enorme, ci interroga su tutti i piani del vivere collettivo; interroga su passato, presente e futuro; interroga “dentro”. E per questo su di esso, dopo il dibattito più generalista di lunedì, torneremo più volte con altri incontri, magari articolandoli su aspetti specifici, da approfondire, capire e introiettare nel profondo.