La rivoluzione delle tasse
di Rosy Ciardullo---16-03-2024
La premier Meloni ha avuto una visione sulle tasse.
Per diventare una componente ordinaria e necessaria, per essere assimilata e rientrare nella normalità della vita economico-finanziaria del Paese, la politica fiscale evidentemente doveva essere presentata e valorizzata da un governo di destra. Si dice perché le destre hanno strumenti linguistici più semplici e quindi più persuasivi, oppure perché se a proporla è una leader populista allora vuol dire, secondo il sentire comune, che è proprio doverosa. E non bisogna opporsi, quindi niente manifestazioni scomposte, né minacce di far cadere il governo. Si sta registrando solo qualche lieve flessione nei consensi.

Le tasse sono una parola blasfema che evoca qualcosa di persecutorio quando a pronunciarla sono i leaders e i governi della sinistra, anche se la politica fiscale e gli investimenti sono il motore della crescita del welfare. Storicamente, sanità pubblica, scuola e previdenza. Se aumentassero le entrate nelle casse dello Stato attraverso la leva fiscale, sarebbe un regalo alle generazioni future e un miglioramento dei servizi per le generazioni attuali, perché si ridurrebbe il debito pubblico e potrebbero aumentare gli investimenti.
Meloni presenta invece di colpo le norme di recupero crediti come qualcosa che il Paese aspettava da 50 anni. Una rivoluzione. Aggiungendo, per non concedere proprio tutto e parafrasando le parole di Padoa Schioppa che “non dirà mai che le tasse sono una cosa bellissima” altrimenti dovrebbe smentirsi e dire che sono necessarie e fondamentali come in tutti i paesi liberal democratici a garanzia dei diritti di ognuno.
La parola fisco, fino a due giorni fa, impronunciabile per le categorie con partita IVA: taxisti, professionisti e aziende, è salita in cima alla ribalta della cronaca politica di questo governo.
Nel 2023, per gli effetti del fisco amico – aggiungerei - di chi non vuol pagare il dovuto come i furbi oppure quelli in difficoltà economica, lo stato sarà costretto a fare nuovo debito pubblico per pagare la spesa pubblica. Sono stati recuperati 24 miliardi ma la Presidente del Consiglio non ha detto che quelle norme e tutta l’impostazione del recupero crediti, le aveva introdotte l’ex-premier Mario Draghi e che lei fortunosamente ha ereditato.
Menomale che ha nominato ringraziandolo il Direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, che ha rischiato di essere estromesso al suo arrivo a Palazzo Chigi.
Manca all’appello l’immensa mole di interessi maturati sui debiti, quelli di mora e l’aggio, e quell’ammontare di evasione riferita al gran numero di evasori perfino sconosciuti all’Agenzia delle entrate e pari al 45% del totale.
Sanità pubblica, scuola e asili nido possono aspettare.