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n. 7437   lettori al   25.04.24
Raffaello... al tempo del Covid
16-07-2020
Eh sì, alla fine, dopo lunga attesa e tanti rinvii, eccomi a visitare la grande mostra di Raffaello, il giovane favoloso. Ho sempre amato Raffaello, le sue Madonne, le sue figure dolcissime, i suoi colori suggestivi ed eleganti con le loro venature e sfumature, il suo disegno perfetto, la sua “Scuola di Atene” compendio della storia del pensiero umano: antico, presente e futuro. E poi il suo essere abile, modernissimo imprenditore di se stesso, il suo sapersi mettere sul “mercato” dell’arte, che manco il più abile manager pubblicitario degli anni duemila saprebbe fare di meglio. Ed il suo conquistare mecenatismi ecclesiali quanto committenze laiche. Il suo passare con la medesima elegante levità ispirativa dalla Madonna del Cardellino alla Fornarina, al trionfo di Galatea, al ritratto di Baldassar Castiglione il grande influencer della società rinascimentale italiana; dal disegno al quadro, all’affresco. Raffaello di tutto di più: un marchio affascinante per i contemporanei quanto per noi umani degli anni Duemila. E proprio di marchio si può parlare, per tante sue opere frutto del lavoro di equipe della sua bottega, dei suoi collaboratori, dei suoi allievi: tutti portatori del suo imprinting, che alla fine quasi – quasi – non distingui la mano del “giovane urbinate favoloso” da quella dei suoi discenti. Raffaello le cui opere ho avuto tante occasioni di ammirare dal vero, nella loro collocazione naturale. E davvero a Roma le occasioni non ci mancano, dal Vaticano alle tante chiese, alla stupenda Villa Farnesina (che rimane tra le mie preferite).

Una mostra specifica, dedicata a Raffaello però, lo ammetto, mi mancava.
E quando la vado a visitare? Beh certo, oggi, nel 2020, cinquecentenario della morte.
Ma anche… all’epoca del Covid. E la visita assume a questo punto un altro sapore. Tutto suo. Indimenticabile. Non so se più indimenticabile per le opere di Raffaello viste alle Scuderie del Quirinale oppure per le modalità di una visita nella quale Raffaello deve fare i conti con un coprotagonista potente: il Coronavirus.
Ebbene sì, so di dire una cosa spiacevole, per gli amanti dell’arte, e ai miei stessi occhi, ma il Covid ha conquistato le Scuderie del Quirinale e si impone anche più del divino urbinate.
Alcune cose di questa visita per me restano vive nella memoria. La Fornarina? Certo. Ma anche la sveglia alle sei di mattina, perché la visita iperscaglionata della Mostra impone insolite turnazioni di stampo draconiano. Alle 7.30, all’ingresso dell’edificio, pronti per… misurarsi la febbre. Misurazione ipertecnologica. La assistente ti mette davanti ad un apparecchio tipo mini videocamera. Una mia amica, in visita insieme a me, fraintende: pensa vogliano intervistarla in videoripresa. Si accinge a fare una dichiarazione epocale per i posteri e invece sul video compare la scritta: 36,1. Puoi entrare. E lo stesso è per me, che però, scaltrito dalla gaffe della mia amica, mi concedo senza tentennamenti alla misurazione: 36,2. E via dentro le Scuderie.

La guida interna, una soave fanciulla nascosta da mega mascherina azzurrina (direbbe Gozzano, color acqua di stoviglie), ci spiega con grazia raffaellesca le modalità della visita. Mascherina fissa, distanziamento, cinque minuti di sosta per ogni sala e appena suona la campanella, passare immediatamente alla sala successiva. A qualunque costo: che nella sala ci siano 5 disegni di Raffaello che mi affascinano parzialmente oppure che ci siano “La Donna Velata” e la “Fornarina” che ammiccano dalle loro imponenti, bellissime cornici dorate. Provo a dire alla dolcissima guida se posso fare una trattativa: cedo i cinque minuti di una sala di soli disegni in cambio di dieci minuti davanti alla Velata. Niet, dice garbatamente inflessibile la guida. Niente compromessi. E che siamo in Italia!? Alla campanella, procedere. Non un attimo dopo. Ma nemmeno un attimo prima: altrimenti il distanziamento salta. E in fondo ha pure ragione, la poverina, istruita in modo ferreo dalla speranza: correggo, da Speranza. Proprio Roberto, il ministro terrore di ogni trasgressore del distanziamento.

Però - continuano tutti a dire da mesi - vuoi mettere, vedere dei capolavori in una sala in compagnia di sole altre sette persone, e non di una folla di visitatori? Così pure ai Musei Vaticani, mi dicono, irriconoscibili, proprio perché visitabili in beata solitudine dallo sparuto gruppetto di turno. E così anche per il Colosseo e per i tantissimi luoghi artistico/culturali di cui ovviamente Roma abbonda, in ogni dove, e soprattutto nell’area del suo centro storico, da piazza di Spagna a piazza Navona. Splendidamente prive di turisti; e pure di romani se ne vedono meno del consueto. Insomma così le opere d’arte te le puoi davvero gustare. Magari solo per cinque rapidi minuti; ma vuoi mettere, la beata solitudine.
Tu e l’opera d’arte. Tu e la Fornarina… che però mi occhieggia fascinosamente malinconica, come a dire. Sono abituata alle folle che mi ammirano, e guarda come mi ha ridotto il Covid: ci sei tu e altri sette visitatori. Lo so, dico una eresia, di cui mi vergogno tantissimo. Ma questa situazione mette un’ansiosa tristezza anche a me. Ebbene sì, lo confesso, sono un po’ strano, ma a me ammirare un’opera d’arte, sia essa un quadro o una sala o una cappella o un edificio ultramillenario, in solitudine… piace di meno. Così come l’ascoltare musica da solo a casa non regge il confronto con l’ascoltare – e vedere – un concerto insieme a tanti altri in un auditorium. Oppure vedere un film in una sala cinematografica. O vedere uno spettacolo teatrale nel “luogo teatro”: sede non a caso ritenuta quasi sacrale dalla antica cultura classica. E ammirare la Cappella Sistina in dieci persone, mi emoziona di meno. Vuoi mettere quelle belle file di centinaia e centinaia di metri lungo via Leone IV per entrare ai Musei Vaticani!? Che vitalità, che segno di speranza nella umanità e nella sua voglia e capacità di emozionarsi! Di emozionarsi insieme, in tanti. Ora quel marciapiede di centinaia e centinaia di metri di… assenze sembra dare il segno di una perdita, di un abbandono.

A me piace la presenza, la corporeità delle persone; anche se ciò può costringere a guardare la Madonna del Granduca o l’Autoritratto o la Madonna della rosa (una piacevole sorpresa: la conoscevo di meno) attraverso una piccola selva di teste di altri visitatori. Che, ebbene sì, si emozionano insieme a te. L’arte nell’epoca della riproducibilità delle teste dei visitatori! Mi dà un brivido piacevole il pensare che ci sia qualcosa, la bellezza, che ci colpisce insieme in tanti, e ci unisce. Lo so, è una malattia da globalizzazione. Oppure no, è semplicemente il piacere di condividere. Bellezza, fascinazione, amore. Di percepire che mentre il volto soave di una Madonna mi sta smuovendo mente e sensi, sta producendo emozionalità analoga in tante altre persone, in contemporanea. In presa diretta.
Ricordo quando da ragazzo vidi al Louvre la Gioconda; insieme ad una folla, più o meno a spinte per accostarsi, e guardare, e godere. Che emozione. Nel sentire il piacere di altre persone, oppure anche la espressione di una delusione di chi diceva “mi aspettavo di meglio”!. Comunque emozioni. Va beh, non ditemelo, lo so da solo: sono un po’ strano!

E mentre – sia pur surgelato per un’aria condizionata mandata a mille - mi immergo in queste sensazioni davanti al Ritratto di Donna Velata, che a me sembra pure più bello della Fornarina, ecco che improvvisamente mi rendo conto che i miei sette compagni di turno sono diventati otto. Eh sì, perché dalla sala successiva è entrata come un soave soffio di vento una… stangona di un metro e 83, fluente chioma rosso/castano, avvolta in un attillatissimo jeans azzurro e camicetta bianca. Ma chi è? La Venere di Botticelli? Ma non stava agli Uffizi? E infatti non lo è, bensì trattasi dell’unica turista presente alle Scuderie del Quirinale in quel momento, in quel turno. Anzi no, appartiene al turno precedente e dovrebbe essere cinque minuti avanti a noi. Una sala avanti a noi. Ma lei comincia a fare, come in epoca pre-covid, avanti e indietro fra le sale, per guardare e riguardare quello che vuole, quello che la intriga di più. E guide e custodi non riescono ad arginarla; forse nemmeno ci provano. Del resto come si fa ad imbrigliare un alito di vento, un soffio di brezza! E poi se in sala siamo in otto o in nove, nulla cambia per la sicurezza. Certo se però facessimo tutti così, finiremmo in sedici in una sala e zero in un’altra. E allora addio regole del distanziamento. Va beh, però siamo tutti disciplinatissimi. Lei sola svolazza fra una sala e l’altra incurante del Covid, nel suo intrigante look casual/botticelliano.

E tu, caro Raffaello, non ti adombrare se mentre visito la tua mostra mi permetto di pensare a Botticelli. Scusami, ma è proprio una mia debolezza personale, da botticellidipendenza! Comunque ti assicuro, anche lui come pittore era bravino. Proprio niente male.
E figurati, cosa diresti allora se sapessi che la mia amica da dietro la mascherina mi sta sussurrando: però pure Monet mi fa impazzire!
Guarda che non ti sto provocando, perché io so che tu sai – benissimo - che insieme a Botticelli, Monet, Ciaikowski, Leopardi, Proust, Saffo, Canova, Beethoven, Petrarca, Goethe, Montale, Puccini, Shakespeare e tanti tanti altri parlate proprio la stessa lingua. La stessa lingua. Vi capite al volo perché vi muovete sullo stesso terreno: la bellezza, l’armonia, l’umanità.
E poi mi ricordo bene che a suo tempo, quando da ragazzo ti ho incontrato per la prima volta, tu - uomo di mondo, gradevolmente fascinoso e socievole - mi dicesti: guarda che queste cose le ho dipinte perché in tante persone possano vederle, e goderne: e se lo fanno in tante insieme, allora vuol dire che le cose nel mondo funzionano meglio.
Avevi ragione Raffaello. A presto, spero di rivederti, anche in mezzo ad una selva di teste, che ti ammirano, ti guardano, magari ti criticano pure. Chissà quante volte sarà capitato anche a te di sentirti dire: mi aspettavo meglio. Come ho fatto io oggi, davanti al “Sogno del Cavaliere”: ma è così piccolo? Una tavoletta di pochi centimetri! E pensare che sui libri sembrava enorme.

E’ comunque la forza della emozione. E finchè proviamo e condividiamo emozioni, tutto OK, Mister Raffaello. E porta a Botticelli i saluti di un suo ammiratore.

p.s. Il tuo capolavoro, “La scuola di Atene”, la sua forza, la sua creatività, la profondità del suo messaggio di razionalità, di dialogo, e di bellezza. Quante volte l’ho visto e ammirato! e sempre in mezzo a una folla. E sempre con le emozioni che ci univano, dentro quella folla… innamorata.

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