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UNO STRANO TURISTA VISITA ROMA
23-04-2021 |
«Povera Roma mia de travertino te sei vestita tutta de cartone pe' fatte rimira' da 'n imbianchino venuto da padrone!» Così si esprimeva Pasquino, la celebre statua 'parlante', riemerso dopo un silenzio lunghissimo per far notare la vuota pomposità degli allestimenti scenografici che avevano messo la città sottosopra per settimane in occasione dei preparativi per la visita di Hitler. Per accogliere l'ospite erano stati infatti allestiti dei manufatti di cartapesta degni di un set cinematografico, che avrebbero dovuto rievocare le vestigia dell'antica Roma. La visita del Führer in Italia ebbe luogo nel maggio del 1938 e seguiva di pochi mesi quella fatta da Mussolini in Germania. Il regime fascista aveva preparato con cura degli imponenti apparati cerimoniali: sfilate militari, una grande parata navale nel golfo di Napoli e via discorrendo. Un posto di particolare rilievo all'interno del programma ufficiale occupavano l'arte e la cultura, quegli elementi cioè che avevano affascinato schiere di viaggiatori stranieri. Dentro di sé Mussolini sapeva bene che l'Italia fascista, pur avendo da poco conquistato uno status 'imperiale' grazie alla guerra d'Etiopia, non era in grado di competere nemmeno lontanamente con la potenza militare e industriale del Terzo Reich. D'altro canto, egli conosceva il punto debole dei tedeschi nei confronti del bel paese: il fascino derivante dall'ineguagliabile patrimonio di civiltà, arte e cultura. Per non parlare poi del fatto che tutti i collaboratori di Hitler e le persone del suo seguito ripetevano spesso che il Führer era un grande artista ('Unser Führer ist ein grosser Künstler'). Cosa di meglio quindi che un bel giro di visite ai musei e ai monumenti, contrapponendo così all'immagine di una Germania 'militarista' quella di un'Italia 'culla dell'arte e della civiltà'? E proprio su questo aspetto della visita di Hitler vorrei soffermarmi, con il prezioso aiuto del resoconto che ci ha lasciato colui che di questo programma fu un testimone privilegiato, ovvero Ranuccio Bianchi Bandinelli, eminente archeologo e studioso di storia dell'arte. Nome prestigioso della cultura italiana ed europea, nel secondo dopoguerra ricoprì tra l'altro la carica di direttore generale delle Antichità e Belle Arti, promuovendo la ricostruzione dei monumenti danneggiati dal conflitto e il recupero delle opere d'arte trafugate. Per nostra fortuna, ha lasciato nei suoi appunti alcune pagine dedicate proprio al soggiorno italiano di Hitler. Il racconto di Bandinelli, all'epoca docente presso l'Università di Pisa, inizia con il telegramma che lo invita a recarsi a Roma, presso il Ministero della Pubblica Istruzione. Qui un solerte funzionario lo informa che, data la sua ottima conoscenza della lingua tedesca (paese di origine della madre) e i suoi vasti interessi, non limitati solo alle questioni archeologiche, è stato scelto per accompagnare Hitler nei musei, nelle gallerie e nelle visite ai monumenti di Roma e di Firenze. Le annotazioni dell'illustre guida - pur facendo la tara ad alcune dichiarazioni politiche di sapore 'autoassolutorio' - costituiscono una preziosa testimonianza di prima mano di quelle giornate e contengono degli interessanti commenti sui due dittatori, osservati da vicino. Ma lasciamo la parola al nostro narratore, che nel suo taccuino scrive a questo proposito: 'Le relazioni fra i due erano singolari. Era evidente che non si piacevano. Ma Hitler era pieno di deferenza, talora quasi servile, mai confidenziale. Mussolini invece trattava l'altro con disinvoltura, parlando correntemente un tedesco abbastanza ricco di vocabolario, per quanto con un forte accento romagnolo. Ma diveniva sospettoso quando Hitler sfoggiava nozioni culturali. Quasi timoroso di far cattiva figura, il suo sguardo correva subito a me in cerca di uno spunto.' A questo riguardo, Bandinelli riporta il seguente episodio: uscendo dal museo delle Terme, Mussolini afferma che nell'antichità l'architettura è stata sempre anonima. Infatti, continua, non si conoscono i nomi degli architetti che hanno progettato le Terme di Diocleziano, quelle di Caracalla, il Pantheon, il Foro di Cesare, il Foro di Augusto e così via. Tuttavia - gli obietta Hitler - si conoscono alcuni di questi antichi architetti e, a sostegno della sua affermazione, ricorda che si conosce il nome dell'architetto dei Propilei sull'Acropoli di Atene e di quello del Partenone, cioè Fidia. Mussolini si sente perso e lancia uno sguardo di soccorso a Bandinelli, che, per fortuna, lo cava d'impaccio facendo notare con un bel sorriso: 'Esatto; ma il Signor Cancelliere si riferisce al mondo greco, nel quale c'era il culto della personalità; invece Voi vi riferivate al mondo romano, dove la personalità si annulla dinanzi alla maestà dell'Impero'. Bella frase cretina, riconosce lui stesso, che però viene accolta con grande soddisfazione da Mussolini: l'onore italico è salvo. Un comportamento del dittatore tedesco, che tendeva a ripetersi abitualmente in occasione delle visite a musei e gallerie, colpisce in particolare il nostro narratore. Ecco come lo descrive: 'Quanto io gli avevo spiegato, se lo interessava in modo particolare, veniva a sua volta da lui spiegato al suo seguito. 'Sehen Sie, meine Herren' (Vedano, miei Signori), cominciava; e poi quello che io avevo appena detto veniva ripetuto, ma completamente deformato e adattato a esemplificare qualcuna delle sue idee prestabilite. Tutto veniva adattato al letto di Procuste dell'ideologia nazista con, al tempo stesso, una ingenua preoccupazione di documentare le cose esattamente'. A parte le fantasiose deformazioni di natura ideologica, le reazioni di Hitler davanti alle opere esposte erano, a detta di Bandinelli, del tutto convenzionali e radicate nel più tradizionale accademismo. Anche delle opere che ammirava non è che intendesse le qualità artistiche: come tutti gli inesperti ammirava il soggetto, l'abilità tecnica, la vivacità dei colori, l'espressione psicologica. Avvicinandolo così - confida l'autore - si poteva scoprire in lui il sentimentale, il romantico, il fanatico anche; ma non si riusciva a concepire l'immagine dell'uomo di azione, astuto, pronto ad afferrare l'occasione favorevole e a sfruttarla spietatamente, a riprova che la simulazione e l'inganno erano arti nelle quali Hitler eccelleva. All'opposto, continua Bandinelli, il comportamento di Mussolini appariva trasparente fino in fondo; e su tutto galleggiava la sua smania di piacere, dalla quale derivava il suo istrionismo. Altre annotazioni riguardano aspetti di minor rilievo del dittatore tedesco, ma non per questo meno significativi, come, ad esempio, le sue reazioni davanti alla bellezza femminile. Passando per via Veneto diretti al museo Borghese, l'automobile del Führer incrocia un gruppo di donne eleganti e Hitler subito esclama: 'Schöne Frauen!' (belle donne); ma, annota Bandinelli, per quanto schiocchi la lingua come assaporandole, il suo tono appare così distaccato, da dare l'impressione che tale esclamazione faccia parte di un programma d'obbligo per un viaggio in Italia. Un'altra idea fissa del Führer - quasi 'freudiana' la definisce la nostra guida - era l'odio viscerale per il bolscevismo, visto come minaccia mortale alla civiltà europea. 'E pensare che se fosse venuto il bolscevismo, oggi tutto questo sarebbe distrutto', gli confida Hitler. E questa idea lo assilla talmente che la ripete più volte al suo collega dittatore. Ad esempio, mentre contempla un quadro di Buonarroti mormorando tra sé 'Michelanghelo, Michelanghelo', a un tratto Hitler si volge verso un Mussolini visibilmente annoiato, dicendogli: 'Wen der Bolschevismus gekommen wär' …' (Se fosse venuto il bolscevismo …). La frase viene completata da Mussolini, il quale un po' seccato e alzando le spalle, nel suo più schietto tedesco-romagnolo, esclama: 'Alles zerstèert' (Tutto distrutto). E con questa immagine prendiamo congedo dai due dittatori e dalla loro guida, non senza aver prima ricordato altri due importanti avvenimenti di quel 1938, ultimo anno di pace per l'Europa. Il primo riguarda la scomparsa di uno dei principali protagonisti della vita culturale e politica italiana, Gabriele D'Annunzio, che morì un paio di mesi prima della visita del Führer in Italia. Scrive Montanelli che fu così risparmiato al vecchio Vate il dolore di vedere accolto trionfalmente in Italia 'il marrano Adolf Hitler dall'ignobile faccia offuscata sotto gli indelebili schizzi della tinta di calce e di colla ond'egli aveva zuppo il pennello, o la pennellessa, [ … ] divenutagli scettro di pagliaccio feroce'. Non si può dire che il poeta non avesse le idee chiare su Hitler, espresse col suo consueto linguaggio roboante e ampolloso. Di sicuro più chiare di Mussolini, che da quel 'pagliaccio feroce' si farà incantare, imboccando una strada irreversibile e fatale per lui e conducendo l'Italia alla catastrofe. Il secondo avvenimento del 1938, ben più importante e funesto, fu la promulgazione delle leggi razziali. Pagina tra le più ignominiose del regime e della monarchia, non solo per il loro contenuto di carattere discriminante e persecutorio, ma anche perchè del tutto estranee alla storia del nostro paese. Esse rappresentarono il punto più basso dell'adeguamento mussoliniano alle idee antisemite del nazismo. A causa loro gli ebrei diventarono irrimediabilmente dei cittadini di serie B e, in quanto tali, oggetto di tutta una serie di piccole e grandi angherie, preludio alle ben più terribili sofferenze e persecuzioni che gli ebrei italiani dovranno affrontare a seguito della guerra e dell'occupazione tedesca. |