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n. 11604   lettori al   07.12.24
La città salvata dalle donne
14-05-2023
Lo Stato romano non sarebbe giunto a un tale grado di potenza, se non avesse avuto un'origine divina.

Plutarco, Vita di Romolo

Roma era stata appena fondata e subito si trovò a dover affrontare una sfida che rischiava di vanificare tutto il lavoro che era stato fatto fino a quel momento e di fare finire tutti i suoi sogni di gloria e di potenza nello spazio di una generazione.
Ripercorriamo in breve quanto era sin lì accaduto. Una volta stabilito che la nuova città sarebbe sorta sul Palatino, per prima cosa, occorreva delimitare lo spazio entro il quale essa avrebbe preso forma e vita. Bisognava delimitarlo e proteggerlo in modo che gli dei ne fossero guardiani e custodi.

Con un rituale che verrà poi utilizzato ogni volta che si procederà alla fondazione di una nuova città, Romolo aggiogò al suo aratro un bue e una giovenca, entrambi bianchi. Il bovino maschio dal lato dei campi, la femmina dalla parte interna dove sarebbe sorta la città. Questo affinché i maschi incutessero timore a quelli che erano all'esterno e le femmine generassero, dentro le mura, quelli che avrebbero popolato la città. Poi con l'aratro iniziò a tracciare il sulcus primigenius, il solco perimetrale lungo il quale si sarebbero costruite le mura, sacre e inviolabili. Lo tracciò tenendo il manico ben incurvato, di modo che le zolle sollevate ricadessero tutte all'interno del solco. Là dove sarebbero sorte le porte Romolo sollevava l'aratro, segnando così gli unici punti dai quali si sarebbe potuto passare.
Non appena il giro fu completato, nel cielo apparvero dei fulmini e si udì un tuono: erano i segni del favore di Giove e presagio della futura grandezza della città. Era il ventuno di aprile, giorno della festa di inizio primavera, dedicata alla prosperità del bestiame. La Luna era nella Bilancia e Roma era appena nata.
Mentre venivano edificate le mura che avrebbero protetto la città, Romolo continuò la sua azione di fondatore. In primo luogo, stabilì l'insieme delle regole - iura - che fissavano ciò che era lecito e ciò che invece era vietato, perché solo le leggi avrebbero potuto fare di quell'insieme eterogeneo di uomini un popolo vero e proprio. Nominò anche un gruppo di consiglieri che lo avrebbero aiutato nelle decisioni, scegliendoli tra i più anziani (senes), perché la prima dote di un consigliere doveva essere la saggezza: nacque così il Senato. Inoltre, affinché fosse chiaro a tutti che lui era il capo, scelse per sé un abito maestoso - la toga orlata di porpora - e si circondò di dodici guardie del corpo (dodici come gli avvoltoi da lui avvistati sul Palatino), i littori armati di scure simbolo del potere.

Roma dunque era stata fondata: aveva le sue mura, le sue leggi, il suo Senato e il suo re. Tutto questo però, come abbiamo detto all'inizio, poteva finire assai presto, nello spazio di una sola generazione. Infatti, dopo tanto lavoro, Romolo e i suoi compagni si accorsero che la città, seppure ben organizzata, era priva di qualcosa di fondamentale. In parole povere, a Roma non c'erano donne e senza donne la città non aveva futuro.
Dopo essersi consultato con il Senato, Romolo decise di inviare un messaggio ai popoli vicini per stipulare trattati di alleanza e favorire l'unione con nuovi matrimoni. Gli ambasciatori partirono e a tutti proponevano di fondere le loro genti, assicurando che la loro città - seppure appena sorta e, per questo, ancora piccola - sarebbe diventata presto grande e potente. Tuttavia, nessuno diede ascolto a quanto proposto: alcuni temevano che la nuova città acquistasse troppo potere, altri consideravano indegno unirsi con uomini dai dubbi natali. In conclusione, Roma restava senza donne.

Coerente con il suo stile di giovane astuto e dalle maniere forti (non per niente era figlio del dio Marte), Romolo pensò che se nessuno voleva dare le proprie figlie in matrimonio ai Romani, allora non restava che prenderle con l'inganno. In effetti, come vedremo, il piano escogitato risultò efficace, benché un poco rozzo, o almeno così lo avrebbe considerato qualche secolo dopo il raffinato Cicerone.
Per prima cosa, Romolo fece girare la voce di avere rinvenuto durante uno scavo un altare dedicato al dio Consus, il custode dei granai e degli approvvigionamenti e che, durante il periodo del raccolto, avrebbe celebrato una grande festa in suo onore, con splendidi spettacoli di corse equestri. Sarebbe stato bello prendervi parte tutti insieme in nome del buon vicinato.
Molti dai villaggi vicini accettarono l'invito, un po' attirati dai giochi e un po' per la curiosità di vedere la città appena sorta. Giunsero in gran numero i Ceninensi, i Crustumini, gli Antemnati e, insieme a loro, i Sabini che abitavano a nord di Roma. Questi ultimi avevano fama di essere un popolo forte, dai sani e severi costumi; le loro ragazze - avrà pensato Romolo quel lontano giorno d'estate - sarebbero state delle ottime mogli e madri.
Durante i giochi equestri, approfittando della confusione e della distrazione degli ospiti, i romani sguainarono d'improvviso le spade e si slanciarono urlando a rapire le giovani sabine. Romolo prese per sé Ersilia, che in verità era una donna sposata, rapita forse per sbaglio o forse perché la sua età ed esperienza avrebbero giovato a tutte quelle ragazze inesperte. Secondo una diversa versione, sarebbe stata lei stessa, di sua iniziativa, a mescolarsi alle altre per proteggerle.


Nicolas Poussin - 'Il ratto delle Sabine'


Gli ospiti, compresi i Sabini, abbandonarono di corsa la città lanciando pesanti accuse e promettendo vendetta: i Romani avevano infatti violato il vincolo di ospitalità - vincolo posto sotto la protezione degli dei - basato sulla fides, cioè sulla lealtà e la fiducia. Anche le giovani, dal canto loro, mostravano il medesimo sdegno, ritenendo il proprio futuro ormai compromesso.
Tuttavia, dopo averle rassicurate, Romolo chiese ai suoi di rispettare le ragazze e ordinò che non venissero toccate prima che fossero celebrate nozze legittime, per garantire loro pieni diritti e la comunione dei beni. Per preparare le giovani spose e celebrare come si deve il rituale nuziale, Romolo contò sull'aiuto di Ersilia, donna forte e saggia, che ormai era di fatto sua moglie.
Gli uomini, dal canto loro, si sforzarono di colmare il vuoto lasciato dalle famiglie nel cuore delle loro mogli, circondandole di molte attenzioni e, a quanto si dice, anche di accesa passione amorosa. Così, poco a poco, le giovani spose si addolcirono e iniziarono a voler bene ai loro mariti. Roma poteva finalmente sperare di avere un futuro.

Quanto era accaduto, tuttavia, non era per nulla piaciuto ai Sabini e al loro re Tito Tazio, potente signore di Curi. Quest'ultimo non tardò molto ad agire, chiedendo per prima cosa la restituzione (repetitio) di quanto ingiustamente sottratto. Chiese pertanto ai Romani di restituire le giovani rapite. Solo dopo, aggiunse, si sarebbe potuto discutere di alleanza e di patti nuziali. Preferendo non correre rischi, Romolo rispose che le nozze erano ormai una realtà: a quel punto era sufficiente stringere un patto. Nessuno dei due però voleva cedere e quindi si continuava a trattare.
Nel frattempo, tra le altre popolazioni - Ceninensi, Crustumini ed Antemnati - crescevano rabbia e paura, in quanto temevano che i Romani potessero diventare un pericolo per l'intera regione. Decisero quindi di passare subito alle armi. Uno alla volta, invasero il territorio di Roma per depredarlo e devastarlo. E per tre volte i Romani, guidati dal loro re, li sconfissero in battaglia, mettendoli in fuga. A questo punto, le giovani spose ebbero chiaro che i loro mariti - pur non essendo il 'fior fiore' degli abitanti del Lazio - erano senza dubbio i più forti.

Da ultimo, i Romani si preparano alla guerra contro i Sabini, anche se con loro non fu altrettanto semplice come era stato con i popoli precedenti. Infatti, Tito Tazio assediò Roma e, grazie al tradimento di una giovane donna di nome Tarpeia, che aprì loro le porte di Roma, i sabini riuscirono ad occupare il Campidoglio. I romani, nel tentativo di riprenderlo, si lanciarono in battaglia contro i nemici, impegnandoli in uno scontro durissimo.
Fu proprio mentre infuriava la battaglia, dall'esito ancora incerto, che avvenne un fatto straordinario: le donne sabine, le mogli e le figlie di quegli uomini in campo, si lanciarono nel mezzo della mischia sotto una pioggia di frecce e lance, stringendo al seno i propri bambini, per dividere i contendenti e placarne la collera. Ecco come Tito Livio ci ha tramandato ciò che avvenne quel giorno:
«Da una parte supplicavano i mariti e dall'altra i padri. Li pregavano di non commettere un crimine orribile, macchiandosi del sangue di un suocero o di un genero e di evitare di macchiarsi di parricidio verso i figli che avrebbero partorito, figli per gli uni e nipoti per altri. [...] Se il rapporto di parentela che vi unisce e questi matrimoni non sono di vostro gradimento, rivolgete contro di noi l'ira; noi siamo la causa della guerra, noi siamo responsabili delle ferite e dei morti sia dei mariti sia dei genitori. Meglio morire piuttosto che vivere senza uno di voi due, o vedove o orfane.»

Cadde un grande silenzio, una calma improvvisa. Le donne avevano ricordato ad entrambi i combattenti il vincolo che esisteva fra loro: non potevano considerarsi nemici, visto che di fatto erano parenti.
Dicono che fu un padre sabino il primo ad accostarsi alla figlia, chiedendo che gli indicasse il marito. Quando l'ebbe davanti gli tese la destra. Lo imitarono tutti, cercandosi l'un l'altro. I suoceri stringevano la mano ai generi; i padri accoglievano fra le braccia le figlie; i nonni e gli zii sollevavano orgogliosi i nipoti.


Jacques-Louis David - 'Le Sabine'

Fu così che le Sabine fecero da mediatrici fra i mariti romani e i loro familiari. Erano donne forti e sapevano che - come accadrà altre volte nella storia - quando agli uomini mancavano altre risorse, toccava a loro intervenire, vincendo riserbo e timore.
Grazie a loro si stabilì di unire Romani e Sabini in un popolo solo: sarebbero vissuti nella stessa città, Roma, e si sarebbero chiamati 'Quiriti' in onore di Curi, la città di Tito Tazio. Alle donne, così coraggiose da aver messo fine alla guerra, Romolo tributò grandi onori: era talmente fiero di loro che diede a ciascuna delle trenta curie in cui divise la popolazione il nome di una donna sabina, anche se non conosciamo con quale criterio visto che di sicuro erano ben più di trenta.

Inoltre, in onore di tutte loro, istituì i Matronalia, grandi feste dedicate alle mogli e alle madri romane. Venivano celebrate il primo giorno del mese di marzo, che segnava l'inizio dell'anno nell'antico calendario romano. Quel giorno, ogni moglie riceveva dal marito un regalo, segno della importanza e della gratitudine che la madre e la sposa meritava all'interno della famiglia. Ed ecco perché, sin dai tempi più antichi, per i Romani il giorno che dava inizio al nuovo anno ed apriva il ciclo delle stagioni fu sempre considerato 'foeminarum dies', ovvero la giornata delle donne.


Brogi, Carlo (1850-1925)
'Certosa di Pavia - Medaglione sullo zoccolo della facciata'


Riferimenti bibliografici:
Tito Livio, Ab Urbe Condita;
Plutarco, Vita di Romolo;
L. Ferro, M. Monteleone, Miti romani.

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