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n. 11472   lettori al   19.04.24
Le diverse vecchiaie di donne e uomini
08-12-2019
Due settimane fa, noi “iscritti a parlare”, stavamo ad ascoltare due ricercatrici con i loro numeri e grafici sui centenari e in generale gli anziani. I nostri due Carli (Corridoni e Mari) hanno confessato la risonanza emotiva che aveva suscitato in loro la storia della signora ultracentenaria che si è lasciata morire dopo la morte del genero, cui era molto legata, e che ovviamente era molto più giovane di lei, rivendicando lo spazio che hanno le emozioni, le quali ci rendono quello che siamo: esseri umani.

Come iscritta a parlare (con la A finale), ho anch’io le mie emozioni, e queste orientano sempre anche il mio apparentemente “arido” lavoro coi numeri. Già da qualche tempo avevo osservato con inquietudine


una insolita piramide delle età

dove i sopravviventi alle varie età erano classificati non solo per sesso (come sempre si fa), ma anche per stato civile.
Forse vedete anche voi che per le donne, a partire da età non proprio avanzatissime (diciamo 75-79 anni), il colore giallo (= vedove) diventa maggioritario rispetto alla componente “coniugate”, mentre per gli uomini i “coniugati” rimangono in maggioranza anche dopo i 90 anni. All’età di 85 anni, né uno di più né uno di meno, i coniugati sono il 71% degli uomini e solo il 22,2% delle donne. Tutto il resto single (pochi, soprattutto in queste generazioni), e soprattutto ex-coniugati per vari motivi, i più vedovi, pochi divorziati.
Ho fatto quattro conti per capire da che cosa origina questo diverso destino.

Primo numero. La diversa aspettativa di vita di donne e uomini: se le donne campano più a lungo, alla fine della vita rimangono sole. Questa è la brutale, semplice, verità. Vediamone i particolari: alle condizioni di mortalità/sopravvivenza esistenti nel 2018, un bambino nato in quell’anno poteva prevedere di vivere 80,9 anni se maschio, e 85,2 se femmina. Questa differenza a vantaggio delle donne si osserva quasi dappertutto, e quella italiana non è fra le più elevate (i paesi che fanno peggio sono quelli dell’ex blocco sovietico, dove l’alcoolismo falcidia soprattutto gli uomini). Non solo, nel tempo essa si sta un po’ riducendo: era di 6,3 anni nel 1975, è di 4,3 anni nel 2018. L’aspettativa di vita degli uomini cresce un po’ più rapidamente di quella delle donne, anche perché parte da livelli più bassi. E anche perché le donne spesso si espongono a fattori di rischio ”maschili” (come le sigarette, viste da una generazione di donne come segno di emancipazione), e infine perché la ricerca medica verte su un modello umano “neutro”, trascurando la metà femminile dell’umanità.

Secondo, la differenza di età fra coniugi: in media il marito ha 3 anni in più della moglie. E’ una media, che tollera eccezioni, e che oggi è meno “normativa” rispetto al passato. Ma amplifica gli effetti del fattore precedente. Se una donna si sposa con uno che non solo rischia di morire prima di lei in quanto uomo, ma è pure più vecchio, il rischio di rimanere vedova aumenta.

Terzo fattore, i secondi matrimoni di chi ha perso il primo coniuge. Attenzione, non solo chi si risposa è più spesso il vedovo che la vedova, ma quando è lo sposo ad avere più di 64 anni la differenza media di età con la sposa è di 14 anni, non di 3 come per la generalità dei matrimoni. Lo dice l’Istat, e ci fidiamo. Aggiungiamo, di nostro, qualche cattivo pensiero sulle badanti, sulle colf, sulle straniere in generale, che a quanto pare sono preferite, rispetto al “mercato matrimoniale” nazionale (sì perché anche questo è un mercato, in senso lato, ma anche no).

Se volete saperne di più:

sul mio blog


con alcune riflessioni sulla solitudine, e le sue conseguenze sulla salute e il benessere, oppure, più scientifico

il Report dell’Istat