La coerenza di Giorgia
di Rosy Ciardullo---06-01-2023
Le forze politiche, anche appartenenti all’opposizione, ancora dopo due mesi, non fanno altro che elogiare la cosiddetta coerenza della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.
Va detto che fino ad oggi, è riuscita a mantenere un soddisfacente profilo internazionale, riposizionando in modo nitido l’Italia all’interno del perimetro atlantista e facendosi garante finché sarà necessario dei futuri aiuti all’Ucraina, e ribadendo in una logica di difesa l’importante ruolo del nostro Paese all’interno dell’area geopolitica occidentale. Va da sé che, se al suo posto ci fosse stato Berlusconi o Salvini, la nostra collocazione nel blocco occidentale sarebbe stata piuttosto ambigua, incerta e accidentata.
Interessante, anche, l’annuncio della Presidente del Consiglio quando si fa portatrice di un ventaglio di risoluzioni possibili per affrontare l’imponente flusso migratorio partendo da un piano strategico di sviluppo e con il coinvolgimento dei paesi rivieraschi dell’altra sponda del Mediterraneo. Un obiettivo che contraddice completamente quanto andava affermando precedentemente sull’ efficacia del blocco navale per contrastare gli sbarchi e l’illegalità. Una semplificazione eccessiva per risolvere un problema complesso. Anche se ad oggi non si comprende con quali forze e quali competenze disponibili potrebbe realizzare tali propositi. Al momento annuncia con disinvoltura progetti di cooperazione a medio e lungo termine, intendendo addirittura di voler riconsiderare il progetto di Enrico Mattei che voleva appunto dare impulso all’attività estrattiva dell’ENI soprattutto in Libia, per garantire l’approvvigionamento energetico al nostro Paese. I rapporti con i paesi del Nord-Africa ovviamente, anche se non sono idilliaci tra Francia e Italia, non potranno prescindere dalla collaborazione con Emmanuel Macron, soprattutto per trovare una intesa comune per non continuare a lasciare il campo a Turchia, Russia e Cina. Che con la loro politica di rapina e di conquista hanno provocato l’immiserimento e la distruzione di Libia e Siria, e il conseguente smottamento dei migranti in mare, verso l’Europa.

I punti più inquietanti della politica di Meloni emergono invece nell’ambito della politica interna. Sul territorio nazionale, la Presidente del Consiglio mantiene una coerenza identitaria fortemente di destra, riaffermata e sbandierata con orgoglio: legge sui rave, tentativo dichiarato di essere abbastanza No Vax, rifiuto della ratifica del MES, difesa del MSI considerato “partito democratico e repubblicano”, torsione illiberale del Presidenzialismo, attacco alle politiche del welfare, obiezioni all’Europa sul PNRR. Ma è soprattutto la Legge di Bilancio di 35 miliardi (21 destinati al pagamento del consumo energetico) per fortuna già impostata dal Governo Draghi, il biglietto da visita di questa maggioranza. Il vero tallone di Achille, il manifesto della loro visione di società e l’indicatore della direzione di spesa per gli altri 14 miliardi. Siamo davanti al primo confronto con i conti delle Stato. La Legge di Bilancio suona la sveglia a Meloni e company, dopo il lungo sonno delle campagne elettorali, inaugurando un periodo di posizioni politiche ondivaghe e ambigue da cui ritirarsi rapidamente nel caso che costino troppo in termini di accordi nella maggioranza o di consenso elettorale. Sullo sfondo la filosofia “del lasciar fare a chi vuole fare”. Che soddisfa soprattutto le partite IVA, le micro e piccole imprese, attraverso il nuovo istituto della flat tax del 15% che non rispetta il dettato costituzionale della progressione delle imposte, e poi la politica dei condoni (circa 12), battezzata pace fiscale, che fa guadagnare punti e avvantaggia gli assetti economici della piccola e media borghesia e che costituisce essenzialmente il target della destra.
Nella manovra di Bilancio, non c’è neanche l’ombra delle politiche del lavoro e degli investimenti per produrre ricchezza e occupazione, come hanno già fatto Germania e USA.
La timidezza o prudenza come fatto precauzionale, più volte menzionata da Meloni, nel voler rispettare i saldi contabili della Legge di bilancio e nell’evitare altre spese in deficit, in questo caso, è una fortuna, perché se venissero intaccati importanti capitoli di bilancio per la realizzazione di opere strutturali e progetti richiedenti competenze importanti da reperire tra forze politiche che non dispongono di classi dirigenti preparate, sarebbe una vera iattura per il Paese. Soprattutto per il maggior indebitamento che ne deriverebbe.
Indirizzare la spesa verso sanità, scuola, modulazione del reddito di cittadinanza, revisione del sistema carcerario, costruzione degli asili nido (doveva essere per quasi 5 miliardi) e finanziamento della maternità, non rientrano nella visione di politica economica di questo governo.
Almeno finchè durano gli effetti della politica di Draghi, perché sarà molto chiaro tra qualche tempo che i lavoratori dipendenti sono anche consumatori. E potranno far cadere la domanda di beni e consumi ancora di più di adesso, colpiti da inflazione e aumento della spesa energetica. Magari anche aumentando le quote di risparmio per via di quel tasso di incertezza registratosi in questi ultimi due anni difficile da superare.
Così dice la storia economica di circa un secolo e mezzo.