La scuola e il pensiero unico dei giovani
di Rosy Ciardullo---18-03-2018
La scuola e il pensiero unico dei giovani

Sono figlia di insegnanti ma non appartengo al mondo della scuola. Ci sono degli aspetti che da tempo colpiscono la mia attenzione, nonostante l'occhio profano. In particolare, mi chiedo quali siano stati i punti di ricaduta che hanno determinato i comportamenti di molti studenti, in atteggiamento di sfida verso gli obblighi scolastici e i valori etici del vivere civile. In molti casi, incapaci di decodificare il bene e il male. I principali attori , genitori e insegnanti sono alla base di quel magma che , credo, abbia generato un sistema di valori permeabile a semplificazioni e caratterizzato dall' assenza di dibattito. Ne è seguito un sistema educativo indulgente e permissivo. Purtroppo, un crinale che sta dando i suoi frutti sia in ambito di scelte personali che civile e politico.
Quella classe di insegnanti che va dai 35 ai 50 anni, magari appena stabilizzati (circa 140 mila) e sistemati per tutta la vita, dal governo Renzi dopo decenni di attesa, quale rispetto e senso delle istituzioni possono trasmettere agli studenti? Quale progetto di inserimento per le loro formazione, per le condizioni economiche e logistiche lontano da casa? Quale saldatura tra idee e ideali? Dubito che in questo momento storico molti educatori possano diventare quel collante che possa traghettare i giovani verso la realizzazione di una società più giusta, in cui il lavoro viene subito dopo la scuola. Sono generazioni travolte da una frustrazione senza fondo che vivono con la convinzione di essere state danneggiate da carenze strutturali e inefficienze che hanno segnato i destini della scuola. Indifferenza, rabbia ed insoddisfazione sono sentimenti, diventati quasi il soggetto politico con cui bisogna fare i conti.
Ma, a mio avviso, comprendere i fenomeni, non significa giustificarli. Chi vuole può avere accesso alla conoscenza, all'informazione ed agli esempi formativi che, ad esempio, ispirano i giovani di altri paesi. Negli Anni '70, creammo da soli la spinta verso un sistema anti-autoritario e l'università di massa. Anche allora l'universo era asfittico e sordo alle richieste che provenivano da un'intera generazione. Nonostante ciò la tensione che alimentava il cambiamento era tanta. La passione portava a tener conto anche di quello che accadeva nel mondo: la guerra nel Vietnam. Non mi pare che oggi qualcuno si muove in senso solidale per la tragedia che si sta consumando in Siria, ad Afrin. E' un genocidio di più etnie alle porte. Vedo molta indifferenza.

L'effetto dei social media
Un altro dato da considerare è che gli spazi di riflessione e i momenti di solitudine sono stati colmati dall'utilizzo dei social media che radicalizzano le idee (anche quelle sbagliate?) ma hanno ucciso il dibattito. Favorendo una sorta di pensiero unico che rende i giovani tutti uguali sotto l'ombrello di internet. Da qui comportamenti indifferenziati, il pensiero uniformato al senso comune, quello cioè di internet. Uguali nel voto, fedeli ai suggerimenti della rete, indifferenti ai fenomeni sociali e restii ad ogni approfondimento. Eppure è attraverso lo scontro e la lotta che si cresce. Attraverso il confronto anche aspro delle idee. L'interlocutore non può essere la rete a cui si attinge per sentire quello che si vuole appagando all'istante ogni curiosità.

I genitori
Sull'altro versante, c'è la complicità delle figure genitoriali e forse la loro angoscia di non riuscire ad essere all'altezza del compito educativo. Il riflesso sulla scuola ne è la diretta conseguenza. In molti casi , si è arrivati alla delegittimazione degli insegnanti e dare la colpa alla scuola se i figli non hanno raggiunto i risultati auspicati. Sul tema della responsabilità e della mancanza d'autorevolezza è venuto in aiuto, spesso anche il cinema. Ad esempio, il film “I nostri ragazzi” (2014) del regista Ivano De Matteo, rimane uno dei capisaldi per la rappresentazione del fenomeno. Un'opera significativa per riflettere e misurarsi sugli effetti di un permissivismo genitoriale che non permette più la differenziazione tra bene e male, e sugli spazi di solitudine troppo estesi che amplificano il problema. Il film è la rappresentazione plastica del rapporto genitori -figli, oggi. Incapacità e paura sono i temi dominanti. Soprattutto la paura di affrontare i figli e la scelta conseguente di essere indulgenti, rimanendo poi paralizzati di fronte alle possibili reazioni di questi e dalla paura di perderne il controllo. La rinuncia all'obbligo di educare ha distrutto la disparità dei ruoli in nome di un comodo lasciar correre . In casa, prevale l'opzione del quieto vivere e la protezione del figlio ad ogni costo. Educare alle responsabilità ha un prezzo troppo alto.
Tra famiglia e scuola, in una cornice asfittica e di assenza di riferimenti i ragazzi dovranno cercare se stessi..