Il virus e la rana
di Stefano Minghetti---01-05-2020
In genere, si tende a ritenere che nessun avvenimento sia del tutto positivo o del tutto negativo. Certo appare molto difficile, direi quasi impossibile, trovare qualcosa di positivo nell’attuale pandemia che sta sconvolgendo tutti i paesi e sta gettando l’economia mondiale in una crisi che probabilmente si trascinerà per diversi anni.

Eppure, qualcosa di buono potrebbe uscire fuori anche da questa situazione così difficile e anomala; mi riferisco alla possibile riscoperta del ruolo dello Stato nell’economia, della sua funzione di naturale garante dei bisogni primari. Questa funzione, come sappiamo, nacque più o meno con la grande depressione degli anni ’30 e si rafforzò dopo la seconda guerra mondiale, dando vita al modello dello “stato sociale” (welfare state) o come lo definirono i francesi “l’état providence”, lo stato provvidenziale, che garantisce l’adempimento delle necessità vitali e minimizza i rischi sociali.

Per buona parte della seconda metà del ventesimo secolo è stata generalmente accettata l’idea che lo Stato dovesse farsi carico di questo ruolo, assicurando quei benefici sociali che altrimenti non avrebbero potuto essere garantiti. Tuttavia, negli ultimi decenni, si è fatta strada l’opinione che vedeva nello Stato una fonte di inefficienza economica e di intrusione sociale. Questa visione negativa dell’intervento pubblico si è accentuata ancora di più a seguito del crollo dell’Unione sovietica e il conseguente discredito del modello socialista in tutte le sue forme. Così, mentre i governi occidentali, di destra e di sinistra, bollavano il settore pubblico come obsoleto e inefficiente, si è andata sempre più affermando l’idea che occorreva ridurre la partecipazione dello Stato e favorire la privatizzazione dei servizi pubblici o delle imprese di proprietà pubblica.

Il filosofo americano Noam Chomsky ha spiegato molto bene le tecniche di manipolazione utilizzate per far accettare ai cittadini la scomparsa dei valori tradizionali e consolidati, con tutto ciò che ne deriva. Secondo l’autore, per far passare una misura altrimenti ritenuta inaccettabile, basta applicarla in maniera lenta e graduale, secondo il noto principio della rana bollita. In questo modo, il modello neoliberista - basato su un intervento pubblico ridotto al minimo; privatizzazioni; maggiore precarietà e flessibilità del lavoro; bassi salari - si è gradualmente imposto nel mondo occidentale. Tra le conseguenze negative di questo modello, vi è anche l’aver favorito il nascere e il diffondersi di politiche populiste basate sulla paura, sulla frustrazione e sul risentimento.

Adesso che la crisi provocata dalla pandemia ha fatto riemergere in maniera evidente i traumi politici e sociali dell’insicurezza di massa, dovremmo forse imparare a pensare di nuovo allo “stato sociale” liberi da pregiudizi. Dovremmo riflettere sul fatto che il settore privato e il mercato possono svolgere tanti compiti, alcuni di sicuro meglio dello Stato, ma tanti altri non li possono svolgere affatto. Sia chiaro che non intendo difendere l’assistenzialismo tout court, basato su strumenti quali il “reddito di cittadinanza” (misura da utilizzare in circostanze eccezionali, quali l’attuale) o la finanza “allegra” basata sulla dilatazione eccessiva della spesa pubblica improduttiva.

Tuttavia, è significativo che gli Stati Uniti, forse il paese più allergico all’intervento statale, abbiano varato una sorta di “reddito di cittadinanza” (600 dollari a settimana) a favore di tutti i cittadini americani che sono stati licenziati o messi in congedo temporaneo a causa della crisi da corona virus. Da notare che tale cifra è un extra, stanziato dal governo federale, che si aggiunge al normale sussidio di disoccupazione elargito dai singoli Stati. La misura durerà fino a fine luglio e interessa anche i lavoratori part time. Senza voler esagerare il significato di tale misura (favorita probabilmente anche da motivazioni elettorali), resta tuttavia il fatto che, per la prima volta da decenni, gli Stati Uniti hanno riscoperto l’assistenzialismo statale.
Forse è tempo che i politici rileggano Keynes e si concentrino nuovamente sul generale desiderio di sicurezza e stabilità dei cittadini. L’alternativa è una società basata sulla paura e sull’insicurezza, che, come la storia ci insegna, tendono a indebolire le fondamenta di una sana democrazia.

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Ecco il principio della rana bollita, utilizzato da Chomsky per spiegare una delle strategie di manipolazione delle masse (strategia della gradualità):
Immaginate in un pentolone pieno d’acqua fredda, nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto l’acqua diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda, un po' più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po' tuttavia non si spaventa. Adesso l’acqua è davvero troppo calda, e la rana la trova molto sgradevole. Ma si è indebolita, e non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua bollente avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.