Come vivremo, con chi abiteremo, nella terza e nella quarta età?
di Mara Gasbarrone---20-06-2020
Nella terza età già ci siamo, almeno la maggior parte di noi, Iscritti a parlare. Più o meno felicemente a casa nostra, e intenzionati a rimanerci, affezionati alle nostre radici e giustamente gelosi della nostra autonomia. Nella quarta, non si sa. Certo è che – non tutti, ma una parte significativa, di solito si dice quella 'più fortunata' – varcherà le soglie degli ottanta, dei novanta, anche dei cento, con più risorse fisiche ed economiche di quelle di cui disponevano gli anziani anche solo 30 o 40 anni fa: i nostri genitori, per esempio. Genitori che a suo tempo sono stati curati, assistiti, da noi figlie e figli, rimanendo di solito nelle loro case, con l'aiuto di una badante quando non erano più autonomi. Questo futuro, più o meno accettabile, sarà riproponibile per noi?

Sulle badanti ci sarebbe molto da dire. Sui sacrifici che vengono loro richiesti, nuove 'schiave' che abbandonano i propri figli per assistere i vecchi degli altri, spesso con tanta buona volontà, ma con meno saperi professionali di quelli che sarebbero necessari per svolgere bene un lavoro complesso e delicato, per il quale non basta la dedizione. In ogni caso, la demografia ci dice che la stagione delle badanti è destinata ad esaurirsi, come è già avvenuto per la Polonia, come sta avvenendo o avverrà, prima per i paesi dell'Europa orientale, poi dell'America Latina e dell'Asia.

Quali alternative, allora? Una ricerca dell'Auser (Domiciliarità e residenzialità per l'invecchiamento attivo, a cura di Claudio Falasca) pochi anni fa, evidenziava la generale scarsità delle strutture residenziali per gli anziani non autosufficienti e le profonde differenze territoriali. Una provincia come Trento disponeva di un numero di posti in strutture residenziali maggiore di quello di una regione come il Lazio, con una popolazione 10 volte superiore. Auspicabile quindi un'espansione e una modernizzazione di questo settore, come del resto era avvenuto negli altri paesi europei più 'avanzati' e meno intrisi di nostalgiche culture familistiche. Una residenzialità efficiente e dal volto umano, con personale qualificato e contrattualizzato, un po' come – per i bambini – oggi nessuno più dubiterebbe di affidarli a un bel nido anziché solo alle cure della mamma.

Dopo il Covid, con le stragi nelle RSA, non solo in Italia ma in tutta Europa, nessuno se la sentirebbe di proporre a cuor leggero un'opzione preferenziale per la residenzialità, del resto impossibile per ragioni di finanza pubblica. Non a caso, il diritto di
'invecchiare a casa propria', e le condizioni per renderlo possibile, acquistano oggi un rilievo ancora maggiore.
Il cohousing richiama suggestivi precedenti storici. Chi non è affascinato dai béguinages delle Fiandre o dalla Fuggerei di Augsburg, in Germania? Infatti oggi i béguinages parrebbero rivivere in versione laica, per persone sole o coppie avanti negli anni, mentre anche la Fuggerei ha continuato a vivere, mantenuta dalla fondazione Fugger.

E senza andare troppo lontano, ci dice Maria Caterina Federici nel suo libro 'I luoghi del possibile', di cui parleremo nell'incontro del 22, il modo di abitare nei borghi italiani proponeva una ricchezza di relazioni, che si è persa nei grandi centri urbani.
Ma quando diciamo 'cohousing', cosa intendiamo, in concreto, nel nostro Paese?

Cohousing spesso si declina come proposta 'solidale', con elevati margini di sovrapposizione all'housing sociale, diretto prioritariamente a fasce di popolazione deprivate economicamente o socialmente. Caso limite gli homeless, o quello degli anziani colpiti da demenza, almeno allo stadio iniziale, come in alcune delle 24 comunità 'dementia friendly'. Da citare anche l'iniziativa della Comunità di Sant'Egidio, che promuove varie forme di cohousing: condomini 'protetti' per anziani autosufficienti e case-famiglia per non autosufficienti.

Meno frequente, ma molto diffusamente agognata, è l'esperienza di singoli o famiglie 'normali', che desiderano mettere in comune una parte degli spazi di cui dispongono, per superare l'isolamento che affligge le nostre città, avere occasioni di socializzazione e di cooperazione, sostenersi mutualmente soprattutto nell'avanzare dell'età. Il sito http://cohousing.it/ riflette in parte questa tipologia, esprimendo un'iniziativa commerciale, ma illuminata, sensibile alle istanze ambientali, che per ora raccoglie due investimenti in itinere, localizzati nel Milanese: Urban Village Navigli, 120 appartamenti con 40 milioni di investimento (investimento medio per appartamento 330 mila euro), e una cascina abbandonata, presso l'abbazia di Chiaravalle, di cui sarà avviata la ristrutturazione. Già in funzione, invece, Urban Village Bovisa per 32 famiglie e COventidue con 57 appartamenti.

Vedi anche:

Torino http://www.cohousingnumerozero.org/
Roma https://www.santegidio.org/pageID/30096/langID/it/CASE-FAMIGLIA-E-COHOUSING.html
in generale: http://www.housinglab.it/hlab/?tag=cohousing.

Di tutto questo, di tutto e di più, discuteremo lunedì prossimo 22 alle 18,30.