Quando 'fare giustizia' è difficile
di Mara Gasbarrone---30-04-2021
Caro Alberto, sulle ultime quattro righe del tuo intervento dissento profondamente, quando ammetti che avresti desiderato “soluzioni definitive” da parte dei servizi segreti italiani al caso degli ex-terroristi, e quando – qualche riga più sopra – parli di pena di morte che commineresti “senza sentirne piacere ma senza alcuna esitazione” ad aguzzini (e cosa ti fa pensare che i boia si divertissero ad esercitare il loro mestiere?).

Ma tutto questo non è nuovo: la Volante rossa, gli ex-partigiani “vendicatori” rifugiati in Cecoslovacchia, hanno fatto parte della nostra storia non troppo recente.

Per privilegio di età, quei 70 anni che qualcuno invoca come “giusta causa” di esonero dalle responsabilità, ne sono stata lambita anch’io, quando – venti o trent’anni fa - mi è capitato di incrociare uno di questi ex-partigiani durante le periodiche vacanze in Alto Adige. Mio marito, allora importante dirigente di un piccolo partito molto di sinistra, fu riconosciuto e affettuosamente salutato da un anziano compagno emiliano, che gli confessò di aver imparato ad apprezzare quei luoghi ameni in occasione di qualche spedizione punitiva con cui avevano regolato definitivamente i conti con alcune SS.

Infatti l’Alto Adige era stato annesso al Reich e i giovani bolzanini avevano militato nella Wehrmacht. In un piccolo cimitero vicino Vipiteno, vidi poi una minuscola targa che ricordava una trentina di sudtirolesi, lì sepolti, caduti a Roma il 23 marzo 1944: indubbiamente le vittime dell’attentato partigiano di via Rasella.
E allora? Eviterei seriamente di indulgere a qualsiasi evocazione di “giustizia sommaria” o pena di morte, sia pure per paradosso. Accetterei il disorientamento, lo sgomento che allora provammo davanti all’ex-partigiano, e che ci confermò nella scelta di praticare tutta la non-violenza possibile. Non offro risposte alle questioni di questi giorni, ma scelgo di aggiungere qualche domanda.