Sempre fuori tempo
di Sergio Poli---11-05-2021
Ieri ho assistito con qualche punta di insofferenza alle riflessioni sulla condizione femminile post pandemia. Mi rammarico di aver lasciato l’incontro dopo il primo giro di interventi, in quanto impegnato in un altro dibattito, a codesto quasi sovrapposto nei tempi di svolgimento.
In estrema sintesi devo sottolineare che:
- quasi tutti gli interventi rappresentavano una situazione degenerata rispetto alla condizione femminile ed oscillavano ancora tra le due polarità della rassegnazione e della lamentazione;
- effettivamente la pandemia ha definanziato i servizi alla persona;
- i vaghi richiami alle riforme ed ai progetti connessi al Piano nazionale di ripresa e resilienza non bastano certo a dare risposte congruenti all’acuto malessere che colpisce in particolare le donne.
Vorrei al riguardo fare alcune brevissime annotazioni:
- perché le donne non riescono ad esprimersi come soggetto politico a fronte peraltro di comici osceni, agitatori mediocri, mestatori autolesionisti?
- perché l’elemento più vitale ed essenziale alla generazione sociale non si pone come soggetto capace di imporre priorità, scelte inclusive, progettualità vera, gestione avveduta di risorse, in una parola, governo dell’esistente?
- perché le donne, che pure possono vantare diffuse eccellenze nell’ambito dei saperi e delle competenze, tollerano politica ed istituzioni colluse e prone ad interessi mediocri intesi ad una estenuante sopravvivenza?
- perché due tanto vituperate parole quali “meritocrazia” e “valutazione” non diventano “pane quotidiano” per le scelte che informano la vita di uomini e
donne?
Per alimentare la discussione allego un articolo preso dal Corriere della Sera di ieri perché sia, a mio avviso, momento di riflessione su cosa la politica e la magistratura non debbano essere, laddove la cooptazione fa aggio sulla competenza.

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