Uomini, dove siete?
di Marina Izzo---12-05-2021
Noto con piacere che la discussione, promossa nel quadro della tavola rotonda “ Sarà finalmente un futuro women friendly?” ha stimolato molti interventi sul sito. Mi fa particolarmente piacere in quanto ritengo questo evento, proposto e voluto con forza dalla nostra associazione, molto importante: le relatrici (tutte di alto livello) rappresentano realtà importanti del nostro territorio, realtà con le quali Iscritti a parlare deve iniziare a relazionarsi, se, tra i suoi intenti, c’è anche quello di promuovere sinergie che possano avere un’influenza sul dibattito pubblico e politico. Mi unisco anch’io ai soci che si sono espressi finora, con una piccola riflessione, che fa riferimento a una frase, pronunciata ieri dal nostro Presidente, alla chiusura dell’incontro. In sostanza, diceva Carlo, non è vero che gli uomini sono tutti conniventi con l’attuale (e imperante) cultura misogina; anzi, ce ne sono diversi che, di fronte, agli ennesimi episodi di sessismo a cui ormai la cronaca ci ha abituate/i da tempo (scegliete voi la tipologia di questi episodi: discriminazioni sul lavoro, molestie sessuali, femminicidi, ecc.) si indignano e non ci stanno. Ah sì? E quali sono questi uomini? E, soprattutto, dove sono? Quando si parla di indignazione (termine nobilissimo, che proprio la generazione del ’68 ci ha insegnato a apprezzare in virtù della carica morale insita in questa parola) non ci si deve, e non ci si può, solo riferire a casi individuali, a sia pure nobilissime prese di posizione personali da parte di alcuni uomini. No, ci si deve riferire a movimenti collettivi (anche intellettuali) di protesta, di rigetto nei confronti della violenza (fisica, psicologica, culturale) di cui sono sistematicamente oggetto le donne. Purtroppo, sarò sbadata io, ma tutta questa rivolta in ambito maschile, non la vedo. Anzi. Al più l’universo maschile mi pare sonnacchioso e, sotto sotto, vagamente infastidito da tutto questo clamore che l’argomento suscita. Non dimentichiamo che fino a pochi anni fa, la stessa parola femminicidio era molto contestata all’interno del dibattito pubblico, con alcuni intellettuali (anche qui, per la maggioranza di sesso maschile) che la ritenevano l’ennesimo esempio di “egemonia femminista” nella costruzione del discorso sulla violenza nei confronti delle donne. Femminicidio, invece, è più di un neologismo. E’ il risultato di una battaglia. E di tante altre ancora da compiere. Per questo, Carlo, penso che, se veramente siete indignati per quello che le donne quotidianamente sono costrette a subire in famiglia, nel mondo del lavoro, nell’accesso a determinati servizi o, semplicemente nel modo in cui devono piegarsi alle rappresentazioni che fornisce di loro il mondo maschile, beh, allora, forse è il momento che iniziate a discutere tra voi, cercando di osservare cosa non ha funzionato in tutti questi anni, anni che dovevano essere di progresso culturale, economico e sociale per tutti e tutte. Mi permetto di concludere questo mio intervento con un pensiero affettuoso rivolto al mio amico Carlo Corridoni: non penso che vi sia bisogno di arrivare “preparati” a discussioni come quella che ha avuto luogo ieri. Certo, la conoscenza della condizione femminile è indispensabile, come pure un minimo di bagaglio culturale per riconoscere e interpretare le costruzioni di genere di cui è intrisa la nostra società (soprattutto in una prospettiva storica). Ma non penso che l’origine del tuo fastidio risiedesse in questo. La realtà è che questi sono temi “scomodi” perché chiamano in causa la nostra identità profonda, di uomini e di donne. Identità che, come ha scritto mirabilmente Michela Marzano in un suo recente intervento, è: “qualcosa di complesso, qualcosa che affonda le radici all’interno del mistero della condizione umana”