Rappresentazione contro rappresentazione
di Carlo Mari---12-05-2021
Cara Marina, sai che sono sensibilissimo a questo problema in tutti i suoi aspetti: dal profilo del “costume” e della mentalità nella vita individuale e collettiva, alla parità nel lavoro, nella vita familiare, nella politica… per non parlare poi del dramma della violenza di qualunque tipo sulle donne. Però sono d’accordo solo in parte con le riflessioni che fai nell’articolo. D’accordo che gli uomini dovrebbero essere più capaci di organizzarsi per combattere su questo terreno. E’ anche vero però che tanti uomini, e non pochi intimi, si spendono su questo tema, nell’ambiente di lavoro e in soggetti politici e culturali organizzati, che anche per questo esistono: dai partiti alle associazioni, dai media alle istituzioni. Mi pare forse un po’ ingenuo pensare ad una “organizzazione maschile” di battaglia in difesa delle donne, cioè una sorta di movimento femminista fatto di uomini. Non so se potrebbe essere utile. E se le donne lo vorrebbero davvero. Dubito. Ma ben venga, se può essere di impatto. Ma sul fatto che gli uomini sensibili a questo problema siano pochi intimi, e che al dunque pure quei pochi si tirino indietro… non ci sto.
La diffusione di un approccio antimaschilista fra gli uomini è consistente; certamente, non quanto servirebbe e dovrebbe, ma c’è ed è forte. E il negarlo – non mi riferisco a te, ma a qualche relatrice dell’ultima videoconferenza - fa ripiombare le donne in un vittimismo che non aiuta davvero, e non ha mai aiutato. Non di vittimismo hanno bisogno le donne – credo – ma di battaglie lucide e determinate. Penso anche a tanti giornalisti che si spendono pubblicamente per questa battaglia. E non dimentichiamo che sovente titoli ed articoli insopportabili su vicende di femminicidi e di stupri ecc. sono opera di “giornaliste”.

E permettimi di dissentire anche da quanto detto da Giulia in videoconferenza. E che ho anche in quella sede apertamente contestato. Che da sempre la donna rifletta su se stessa e l’uomo no… perdonami, è idea inaccettabile, antistorica e persino provocatoria. E sterile. Che poi l’uomo rifletta sul mondo, come la relatrice ha detto, è giusto e utile. Ma anche la donna – come storicamente sappiamo - riflette sul mondo; ed è giusto ed utile. Queste generalizzazioni non mi sembrano nè concettualmente adeguate né utili alla battaglia delle donne. Come ho detto alla fine della videoconferenza alle relatrici, che per alcuni aspetti mi sono sembrate – per usare una espressione calcistica – fare catenaccio ultradifensivo, la battaglia delle donne non si vincerà senza uomini. Ribadisco il senso di questa frase, come ho fatto in videoconferenza. Non si vince questa battaglia senza crescita antropologico/culturale dell’universo degli uomini. E questa crescita non avverrà se la azione politica, culturale, filosofico/antropologica e organizzativa delle donne si concretizzerà - fra le altre cose positive - buttando a mare gli uomini. E dunque un conto è la azione dura, determinata, e in vari momenti, anche fermamente conflittuale, che le donne – diciamo, tante donne - hanno portato avanti e portano avanti. Un conto è una rivoluzione culturale epocale – di questo si tratta – che si rinchiuda nella roccaforte di un solo genere.

Forse un errore in cui rischiate di incappare voi donne è proprio quello stesso che nel tuo articolo rimproveri – giustamente – agli uomini. E cioè il costringere la “donna” in una rappresentazione che se ne fanno gli uomini. Temo – forse mi sbaglio – stiate facendo lo stesso errore; rinchiudete l’uomo in una rappresentazione che ve ne fate voi donne.

Forse, ad esempio, andrebbe meglio valutato e conosciuto, il cambiamento che vi è stato nelle dinamiche della vita familiare, con tanti uomini – un numero statisticamente e socialmente significativo, credo – che hanno modificato il proprio ruolo. E senza per questo mettere le bandiere.
Sul tema, come ho detto nella considerazione telegrafica che avevo postato oggi nel sito, torneremo e tanto. E come tu stessa avevi proposto nel Direttivo, magari anche invitando qualche relatore uomo su questo tema. E avevi ragione. Mi ha impressionato, e l’ho detto in videoconferenza, che contrariamente al solito gli interventi dalla “sala” siano stati solo di donne, con gli uomini insolitamente muti. Forse sono stati scoraggiati e delusi da un approccio che sembrava quasi dire: delle donne parliamo noi, e voi tutt’al più ascoltate. Non era certamente intenzione delle relatrici, ma questa impressione c’è in genere, e non è mancata a quanto pare nemmeno nella nostra videoconferenza. Ma così non andiamo da nessuna parte. Non andiamo da nessuna parte.

Cara Marina, non volevo assolutamente farti arrabbiare. Al contrario, volevo molto più semplicemente dirti, che io ci sono, tantissimi uomini ci sono, e nelle organizzazioni sociali che esistono, senza doverne fondare altre. Sai quanti problemi crea il maschilismo anche a noi uomini? Una montagna. Disgustosa. Ovviamente non quello della violenza; e nemmeno quello delle disuguaglianze di genere. Ma disuguaglianze, come sai, le vive anche il mondo maschile, per altri motivi ed in altri modi; ma sempre disuguaglianze e iniquità sono.

Sì, sono perfettamente d’accordo – anche se il concetto di “mistero” non mi piace, perché lo vedo troppo sfuggente alla capacità di analisi e di autoanalisi che invece esiste - con Michela Marzano, che hai citato nel tuo articolo. “L’identità è qualcosa di complesso, qualcosa che affonda le radici all’interno del mistero della condizione umana”. Questo vale per uomini e donne. Meglio, diciamo che vale per ogni essere umano. Uno scavo da fare ognuno con se stesso; ma anche ognuno insieme agli altri. In questo elemento possibile di socialità ci credo. Non ingenuamente, ma ci credo.
Insomma, alla fine di tutto questo discorso – o sfogo, chiamalo, chiamatelo come preferite - volevo dirti che voglio combattere con te. E tu con me.