Un sindaco venuto da lontano e i gatti del Campidoglio
di Stefano Minghetti---24-06-2021
Un vecchio aneddoto tramanda che, al neo-eletto sindaco di Roma, Ernesto Nathan, venne sottoposto il bilancio del Comune per la firma. Questi lo esaminò attentamente e, quando lesse la voce 'frattaglie per gatti', chiese spiegazioni. Il funzionario che gli aveva portato il documento rispose che si trattava di fondi per il mantenimento della colonia felina che serviva per difendere dai topi i documenti custoditi negli uffici e negli archivi. Nathan prese la penna e cancellò la voce dal bilancio, affermando che d'ora in avanti i gatti del Campidoglio avrebbero dovuto sfamarsi con i topi catturati e, qualora non ne trovassero più, sarebbe anche venuto meno lo scopo della loro presenza. Da questo episodio si dice derivi il detto romanesco: Nun c'è trippa pe' gatti.

Nathan, che venne eletto nel 1907 e restò in carica fino a dicembre 1913, fu uno dei migliori sindaci che la città abbia avuto.
Nato a Londra da padre tedesco naturalizzato inglese e madre italiana, Sarina Levi, fervente repubblicana e devota di Mazzini (una sorella di Nathan ospiterà l’esule a Pisa nell’ultimo periodo della sua vita). Ernesto - che solo da adulto era diventato cittadino italiano - condivide, del pensiero mazziniano, il sogno di una “terza Roma” universale e affratellante; una Roma laica da contrapporre alla Roma del Papato: famose saranno a questo riguardo le sue polemiche con papa Pio X.

La sua nomina a sindaco avvenne a meno di quarant’anni dall’ingresso delle truppe italiane a Roma, che aveva posto fine, dopo oltre un millennio, al potere temporale della Chiesa, facendo entrare la “breccia di Porta Pia” in tutti i libri di storia. Questo aiuta a comprendere l’orientamento laico e anticlericale diffuso tra le forze politiche dell'epoca e le conseguenti tensioni fra il Campidoglio e il Vaticano. Va anche detto che, sempre in quegli anni, Civiltà Cattolica usava parlare del sindaco di Roma come del “figlio di Sem”: l’antisemitismo era di casa presso i gesuiti.

Comunque, a parte il taglio della 'trippa' ai gatti comunali (che testimonia peraltro un'attenzione anche ai minimi dettagli di cui si sono perse del tutto le tracce), in quei fervidi anni di vita capitolina, furono varate o impostate tutta una serie di riforme. Fu incentivata l’edilizia scolastica; furono istituiti asili per l’infanzia, scuole all’aperto, corsi estivi di ripetizione, presidi per l’assistenza sanitaria; fu posto un primo argine alla vergognosa speculazione edilizia e avviata una prima legislazione a tutela dei beni culturali. Poderoso fu poi l’intervento di municipalizzazione dei pubblici servizi, che, sotto la guida di Giovanni Montemartini, portò alla nascita di aziende comunali in vari settori, fra cui quelli per la gestione delle tramvie e dell’illuminazione elettrica.
Nel 1911, in occasione delle celebrazioni per il cinquantenario dell’Unità d’Italia, vennero inaugurati il Vittoriano, il Palazzo di Giustizia, la passeggiata archeologica e lo stadio Nazionale (attuale stadio Flaminio), primo impianto sportivo moderno. Insomma, durante i sei anni del mandato di Ernesto Nathan, Roma cambiò decisamente aspetto.

La fine della sua amministrazione fu decretata dai mutamenti sopraggiunti nel quadro politico nazionale dopo la guerra di Libia, in particolare l’apertura di Giolitti ai cattolici nelle elezioni del 1913, concretizzatasi nel patto Gentiloni. Nathan vide così sfaldarsi il blocco laico-democratico che lo aveva sostenuto e tramontare l’idea di poter trasferire l’esperienza romana a livello politico nazionale. Ha scritto Giovanni Spadolini che, avendo un giorno incontrato Nenni, uno dei pochi superstiti di quegli anni, questi gli confidò: “Occorre in Campidoglio un sindaco laico che ogni domenica si rivolga ai cittadini, come il papa si rivolge ai fedeli”. Era l’unico, commenta Spadolini, che ancora pensava a Nathan.