La guerra del miliziano
di Rosy Ciardullo---06-09-2021
Se si pone il focus sulla storia personale dei capi talebani, la compiutezza del loro incedere politico che non concede alcuna deroga e gli obbiettivi a cui mirano, risulta evidente l’impossibilità di non poter far appello alla loro empatia o ragione politica verso chi si permette un solo tentativo, per un richiamo della storia, di introdurre qualche cambiamento allo schema sociale esistente. L’Occidente non si era accorto che l’Islam, in generale, giocava in grande, la loro scacchiera era il mondo. Con la rete del terrore, tra attentati, esplosioni ed erosioni di democrazia laddove si potesse manifestare un errore delle altre forze in campo, rispondono subito, come a Kabul, riempiendo il vuoto di potere. Importante è riaffermare l’obbedienza, alla base dell’essere sudditi non dell’essere cittadini (molto si comprende di questo tipo di cultura nel libro di Samir Kassir “L’infelicità araba”). I talebani sono solo una costola locale del più ampio progetto mondiale dell’Islam.

Gli intellettuali musulmani e non ultimo Domenico Quirico, che vanta un’esperienza diretta tra loro sia come prigioniero di lungo corso che come cronista, non perdono occasione per ricordare agli Occidentali che prima di ogni intervento militare e politico o di peace keeping (di pace) bisogna conoscere il carattere del musulmano e del fondamentalista islamico. Il portato storico di sconfitte e vittorie, avanzamenti e radicamento in leggi e comportamenti anacronistici, hanno comportato un deficit democratico in ogni ambito ed un vulnus nelle coscienze difficilmente sradicabile. Il mondo musulmano non è andato verso la democrazia, un termine inesistente nei loro registri, ma è stato sospinto verso una resilienza e resistenza spietata verso ogni anelito di libertà e modernizzazione.

Agnes Heller, filosofa ungherese e allieva di Gyorgy Lukàcs, sostenne che l’evoluzione della specie, che comunque avviene, è talmente lenta che le dinamiche dei processi come gli atomi non sono subito quantificabili.

Il miliziano talebano ha una matrice culturale immutabile che si rifà alle leggi coraniche e alla sharia, la retta via indicata dall’Islam, combatte per un fatto identitario. E’ stato formattato per essere questo. Acquisire l’obbedienza dell’altro gli fa credere di svuotare il mondo da ogni tensione o necessità di bisogni radicali. Il soldato occidentale, simbolicamente il marine, fracassone e tecnologico, combatte per una mission di sicurezza o di ampliamento imperialistico dei confini. Ma sempre in un’ottica di egemonia laica.
Le leggi coraniche sono per il musulmano quello che per noi rappresenta la Costituzione repubblicana. Per questo è impossibile un loro arretramento.
La richiesta continua di poter costruire moschee, scuole di cultura araba e la rivendicazione di voler vivere secondo i dettami della sharia, nei paesi d’accoglienza, sottolinea proprio il loro impegno costante e il desiderio parossistico di conquista di nuovi spazi.

I diritti delle donne
E’ una vecchia lezione storica che la democrazia non si esporta ma venti anni di occupazione delle forze Nato non sono passati invano. Gli Afghani hanno subito la frustrazione dell’occupazione, ma i semi della democrazia e la percezione di una nuova visione possibile ha fatto molti proseliti tra la popolazione delle città e nella nuova generazione dei ventenni, che non vogliono rinunciare ai diritti da poco assaporati.
Soprattutto l’interruzione brusca dei diritti all’istruzione e al lavoro delle donne, ha aperto una finestra sul mondo sulla condizione femminile in Afghanistan e in Medioriente. E’ un fatto nuovo da registrare. E’ stato introdotto un dato inedito che sbatte in faccia, anche a chi non vuol vedere, una situazione talmente paradossale nella sua esplicazione che, di prepotenza e con severità, è stata catapultata nel dibattito internazionale. La condizione femminile ovunque è una questione da non sottostimare. Ne va della democrazia e dello sviluppo economico di un paese. Questo è il dato emerso che dovrà essere tenuto sempre presente nella trattativa politica come precondizione.

La storia
Ovviamente i nostri processi storici, di diversa matrice culturale e politica non sono paragonabili a quelli del mondo musulmano, ma molti tra loro guardano al nostro mondo come ipotesi da realizzare, a cui agganciarsi e su cui far leva.

Le armate napoleoniche (1796 -1797) quando attraversarono l’Italia contaminarono allora cultura e politica, e le parole: libertà fraternità ed uguaglianza invasero l’immaginario e misero in moto la storia. Lo scetticismo di molta parte delle forze politiche non ammise mai che un altro cammino era iniziato. Dopo 50 anni, avvennero i moti del ‘48, sanguinosissimi e feroci. Che posero le basi del pensiero liberale, democratico e socialista dell’800.

La difesa europea
Appena gli USA hanno abbandonato l’Afghanistan perché conclusa la loro missione essenzialmente di sicurezza nazionale, l’Europa, in particolare, attraverso l’impegno di Mario Draghi e Emmanuel Macron, sta ipotizzando un progetto di difesa comune e l’autonomia strategica dell’Europa. Che dovrà tener conto dello scenario del Mediterraneo e delle nostre coste. La Francia già presente nel Sahel sulle rotte dei migranti, è tra i paesi europei, per esperienza storica, il meno sprovveduto ed il più avveduto sui problemi della comunità araba sul suolo francese ed europeo. Alla luce soprattutto dei frequenti attentati che subisce, in particolare nei confronti comunità ebraica francese, e delle rivolte che sconvolgono le banlieues parigine.