Il naufragio dei Cinque Stelle: cronaca di una fine annunciata
di Rosy Ciardullo---21-06-2022
Già da qualche tempo si poteva prevedere il crollo del Movimento 5S.
Ma non era chiaro chi potesse essere il grimaldello che avrebbe prodotto la frattura, oppure quanto potessero incidere la mancanza di visione e la rigidità gerarchica (assenza di confronto interno) che hanno portato alla deriva dei consensi elettorali.
Certo, galeotte sono state le elezioni amministrative che, in tutta la penisola, da nord a sud, hanno decretato il naufragio definitivo del partito con un’affermazione ad una cifra in molti comuni, e il 2.1% a livello nazionale.
A coltivare l’idea di scissione è stato il Ministro degli esteri, Luigi Di Maio che, stretto nella morsa governista ma d’accordo già a suo tempo con l’elezione di Draghi (non così per altri del Movimento) e poi sulla necessità degli aiuti economici e militari all’Ucraina, si è tirato indietro. Di Maio, ormai istituzionalizzato, era già allineato sulle posizioni di Governo avendo più volte dichiarato che le fibrillazioni all’interno della maggioranza, avrebbero potuto indebolire l’immagine del paese all’estero.
Nonostante il suo outing, per lo strappo definitivo ci vorrà ancora tempo, ma già si preannunciano le adesioni di circa 50 parlamentari al suo gruppo politico.
Esperienza e convincimenti maturati nel tempo e un’esposizione internazionale costante, gli hanno permesso di entrare nei processi e nelle verità geopolitiche che regolano la vita degli stati. Strutturatosi come atlantista convinto, ha compreso la partita che l’Occidente sta faticosamente giocando a livello mondiale e l’importanza dell’allargamento dell’Unione Europea.
Di Maio ha voluto sottrarsi all’ondata parossistica di personalismo che investe l’ex-Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che vuole inventarsi bandiere di pacifismo ad oltranza ed evitare l’invio di forniture di armi in Ucraina, tranne poi scongiurare che la crisi prenda veramente il sopravvento.

Il populismo ha fatto di nuovo stragi di cuori ovunque in Europa, anche in Francia ed in Germania portando in dono a Putin quella instabilità politica che potrebbe innescare dei flop definitivi, in appuntamenti importanti come: Consiglio Europeo del 23/24 giugno a Bruxelles, G7 del 27/28 giugno a Shloss Elmau in Germania e al vertice Nato del 29/30. Momenti importanti per consolidare la leadership dei vari premier.
Se il Presidente Draghi, all’appuntamento di Bruxelles si presentasse senza il sostegno della maggioranza, pagherebbe un prezzo elevato, in termini di legittimità, al momento di votare la risoluzione dell’invio delle armi all’Ucraina, e questa sarebbe una vittoria politica per Putin. Il governo Draghi è il più indigesto all’oligarchia russa, perché promotore di una politica di aiuti umanitari e militari ad un paese aggredito e vilipeso, che presto entrerà in Europa. E per la determinazione mostrata a trainare la diplomazia verso traguardi di pace.

E’ successo, ed è un monito anche per noi che mentre i premier dei più grandi paesi europei, non avendo neanche loro il dono dell’ubiquità, sono stati impegnati in politica estera, ormai da mesi, a far fronte a questioni internazionali, guerra, crisi alimentare ed energetica, i populismi presenti in Europa hanno lavorano indisturbati per il ritorno sulla scena. Mettendo nell’offerta politica: previdenza, fisco e politica immigratoria. Cose non nuove ma che fanno sempre presa, in particolare, in un periodo come questo.