Consuntivazione, no?
di Raffaella Grasso---22-11-2022
Ho apprezzato la relazione conoscitiva sulle finalità e sul lavoro dell’Associazione “Differenza Donna”. Il focus – già enucleato nel titolo: Metodologia dell’accoglienza nei Centri antiviolenza – è stato centrato. Grazie, quindi, alle Relatrici.
Come ho anticipato ieri sulla chat, vorrei porre alcune consequenziali domande, interrogandomi nel contempo in prima persona.
Ogni lavoro dovrebbe essere periodicamente consuntivato per trarne le logiche conseguenze, banalmente: continuare la stessa strada, intraprenderne un’altra o magari cercare di riposizionarsi e raddrizzare il tiro.
Personalmente vivo come un fallimento: cinquant’anni di femminismo, lavoro sinergico tra agenzie e reti territoriali, contributi informativi da carta stampata e media, sensibilizzazione nelle scuole, prese di posizione di movimenti e centri di solidarietà ed assistenza, ecc. se ancora oggi non abbiamo almeno contrastato il delitto e la violenza sulle donne. E allora mi chiedo e dovremmo tutti chiederci dove abbiamo sbagliato.
L’efficienza senza l’efficacia mi sembra poca cosa e, nella migliore delle ipotesi, autoreferenziale ed assolutoria.
Ecco alcune considerazioni e domande “crude” a cui non voglio sottrarmi.
1) A vario titolo ed ambito, siamo tutti bravi in diagnosi, meno in prevenzione, terapia, cura e soprattutto prevenzione.
2) Il problema di fondo, è la violenza maschile. E da qui dovremmo essere già partiti. Proviamo almeno a ripartire.
3) Le donne sono 'cresciute' in consapevolezza, oggettivazione del problema, rielaborazione del vissuto, solidarietà di genere… ma se non si cresce insieme (in qualsiasi relazione) si divaricherà sempre più la differenza tra uomini e donne, risolvendo il problema con la fuga e la ‘salvezza’ solo di queste ultime.
4) Caso di scuola: una donna, resa provveduta sui temi della subordinazione (parti superiore ed inferiore dell’iceberg) e ormai consapevole del suo essere vittima della violenza di un uomo, alla fine del percorso, lascerà l’uomo e si proietterà in un altro futuro possibile. Lo stesso uomo, se non sarà cresciuto in analoga misura, continuerà a pensare in un certo modo delle donne, preconcetto suffragato anche dalla personale esperienza di essere stato lasciato; continuerà con il linguaggio a tradire un modo di pensare e di agire maschilista, senza percepirlo almeno come uno squilibrio di potere; potrà verosimilmente esportare su un'altra donna il suo modo d’essere violento, perpetrando comportamenti abominevoli, fino alle più temibili conseguenze.
Sono previsti gruppi di sostegno di donne per le donne vittime di violenza. E per gli uomini carnefici (ove identificabili) esistono gruppi di 'disincentivazione' di uomini per uomini già violenti?
5) Un tempo le famiglie (e in particolare le madri) erano additate come prime responsabili di ogni cosa… un comodo capro espiatorio a cui ci siamo giustamente ribellati. Ma oggi le famiglie (e in particolare le madri, in quanto donne) hanno una qualche considerazione nella formazione dell’identità dei figli?
6) E noi che ci svegliamo ad orologeria per episodi emergenziali di violenza, abusi e prevaricazioni… che ci appelliamo ai diritti, ci ritroviamo nelle piazze, testiamo il nostro essere “di sinistra” su slogan, indignazione, solidarietà (professata e/o agita)… cosa facciamo per chiedere ai nostri rappresentanti politici di farsi carico – con leggi efficaci, rese inappellabili da un sistema integrato di azioni e controlli – in particolare della violenza maschile quando si prefigura come abuso o crimine? E qui si innestano le consequenziali considerazioni sul ruolo delle forze di polizia e sul grado di formazione che viene loro richiesta e/o fornita. Speriamo con si risolva ancora e solo con la pietà pelosa di una donna poliziotto! Vorrei conoscere quante risorse finanziarie e quali professionali sono destinate a gestire il fenomeno.
Grazie.