Caro Pd, la priorità non è la lotta alle disuguaglianze
di Piero Fortini---26-11-2022
Nel dibattito congressuale del Pd molti dirigenti indicano nella lotta alle disuguaglianze la bandiera fondamentale con cui connotare l'identità del partito, con il corollario che le disuguaglianze nel mondo e in Italia siano di molto aumentate, per alcuni in termini intollerabili. Tale obiettivo primario non solo rischia di essere fuorviante rispetto ad altre più importanti priorità, ma non è nemmeno supportato nei suoi presupposti quantitativi.
Infatti, mentre negli anni '80, a fronte di una popolazione di 5,5 mld, le persone sotto la soglia di povertà erano 2 mld, oggi con una popolazione arrivata a 8 mld sono 750 mln, dal 33% scese al 9%. Ma, grazie alla nuova globalizzazione, le condizioni sono migliorate in tutti gli aspetti fondamentali della persona: attesa di vita prolungata grazie a mortalità infantile dimezzata, migliori cura, alimentazione e igiene; analfabetismo dimezzato e istruzione più diffusa; un generale riequilibrio di sviluppo, industrializzazione, terziario e convergenza dei redditi ( l'Asia ha il 62% della popolazione mondiale e il 64% degli addetti all'industria, il divario di reddito tra Paese più povero, Etiopia, e più ricco, USA è passato da 293 volte a 91); l'impronta ecologica si è ridotta in tutti i Paesi a capitalismo avanzato.
Quindi la nuova globalizzazione ha prodotto più equilibrio e ridotto le disuguaglianze, e la bandiera della lotta alle disuguaglianze rischia di divenire puro ideologismo.
Ma forse, tali vessilliferi, hanno ragione per l'Italia? No. L'indice di Gini, dopo pandemia e in crisi energetica, è prossimo allo 0,30, esattamente come nei momenti ancora aurei degli anni '70.
E' molto più probabile che le priorità dell'Italia stiano esattamente agli antipodi del falso bersaglio delle disuguaglianze e stiano piuttosto nella crescita minima negli ultimi 30 anni, nella produttività a segno negativo, nello scarso peso di innovazione e competitività. E allora si entra in un altro film.
Se si scorre l'Indice di prosperità si scopre che la settima potenza industriale è in fondo alla classifica dei 34 Paesi avanzati e a metà classifica dei 167 Paesi Ocse nell'istruzione secondaria e terziaria; nella qualità della PA e Giustizia; nelle politiche del lavoro; nel dinamismo delle imprese, apertura alla concorrenza internazionale e attrattività degli investimenti esteri; negli standard di innovazione; nella qualità dei manager; nei contratti collettivi troppo uniformi e egualitari; negli insegnanti con stipendi in media Ocse in entrata ma più bassi in uscita perchè avanzano essenzialmente per anzianità; nel 99,2% dei magistrati valutati tutti positivamente dal CSM; nei Comuni che spargono su tutti i dipendenti i premi di produttività.
Il problema prioritario in Italia non sono le disuguaglianze ma l'egualitarismo verso il basso, che mortifica spirito d'iniziativa, talento e impegno.
Infatti su 25 Paesi indagati dall'Ocse il nostro é 24esimo per 'persistenza sociale', cioè il più statico, mentre molto più dinamici risultano Paesi con maggiori disuguaglianze, come Israele (primo) e USA (sesto). Nelle oppotunità di ascesa (migliori condizioni rispetto ai propri genitori) l'Italia è al 30,3, contro il 42 di Germania e Gran Bretagna e il 49 degli USA. Quindi maggiori disuguaglianze possono risultare sinonimo di maggiore dinamismo sociale e ascensori verso l'alto, di maggiori opportunità.
In conclusione, finchè in una società avanzata un partito fonda la propria identità sulla lotta alle disuguaglianze rischia una sostanziale ininfluenza politica e un immobilismo elettorale, come è esattamente accaduto al Pd negli ultimi 5 anni.
Se il Pd non scioglie tale nodo continuerà ad avvitarsi nella propria crisi. Con rischi sempre più gravi per la sua tenuta unitaria e il suo bacino elettorale.